GAY E TEMPO

Che cosa significa essere gay
Rispondi
Avatar utente
progettogayforum
Amministratore
Messaggi: 5950
Iscritto il: sabato 9 maggio 2009, 22:05

GAY E TEMPO

Messaggio da progettogayforum » martedì 19 maggio 2020, 16:49

Nella carriera di un atleta arriva prima o poi il momento di scegliere il giorno in cui dovrà ritirarsi dall’attività agonistica. Qualcuno sostiene che il momento ideale per ritirarsi coincida con quello di massimo successo, altri hanno opinioni diverse, ma resta il fatto che se il momento di ritirarsi viene posticipato troppo, l’atleta finisce per essere considerato un sopravvissuto e, in pratica, una caricatura di ciò che era in tempi migliori.

Nella vita delle persone comuni i momenti di scelta sono tanti e ciascuno di essi segna il passaggio a una fase ulteriore, se vogliamo più matura e più consapevole, ma dalla quale non si torna indietro. Ovviamente “c’è un tempo per ogni cosa” e questo vale anche per i gay. C’è un tempo per capire di essere gay e uno per accettarlo, c’è un tempo per l’innamoramento e un tempo per l’indifferenza, un tempo per desiderare un compagno e un tempo per desiderare la solitudine, un tempo per sperare, un tempo per realizzare e un tempo per dimenticare. Le scadenze temporali, in genere, sono elastiche ma non possono essere posticipate all’infinito. Questo vuol dire che sono scelte che comunque devono avvenire e che a noi è lasciata, e con fortissimi condizionamenti, solo la determinazione del quando.

I limiti di tempo entro cui compiere una scelta o tenere un comportamento sono definiti con due criteri diversi, quello della possibilità e quello della opportunità. Entrambi, nonostante le apparenze e con poche eccezioni, sono criteri molto sfumati. La possibilità è definita da parametri fisici o legali: non si può scegliere di unirsi civilmente ad un’altra persona prima dei 18 anni, perché la legge non lo consente, e non si può decidere di andare in pensione a qualsiasi età, perché la legge fissa dei termini precisi, ma non si può nemmeno pensare di portare aiuto ad una persona che ne ha bisogno quando non si è più in condizioni fisiche idonee a farlo. I criteri di necessità, per quanto talvolta anche molto elastici, hanno una cogenza intrinseca, nel senso che se è vero che qualcosa può divenire sempre più difficile col passare del tempo, senza alcun limite teorico, è pur vero, che oltre un certo tempo quel qualcosa diventerà tanto difficile da essere di fatto impossibile.

L’opportunità è qualcosa di radicalmente diverso dalla possibilità, è un criterio di tipo sociale ed è per ciò stesso opinabile, come nel caso di questa affermazione: “È opportuno avviare una convivenza tra i 23 e i 35 anni!” In questo caso “opportuno” significa socialmente accettato e nulla più, il che vuol dire che realizzare la scelta della convivenza oltre certi limiti di tempo espone a discredito sociale per mancata conformità alle regole sociali di opportunità, ma nulla vieta che la convivenza si possa incominciare a qualsiasi età.

Fin qui ho parlato di scelte possibili e opportune, che sono in ogni caso scelte, ossia atti volontari e consapevoli, ma il problema dei “tempi” si pone talvolta anche in modo pesantissimo in relazione all’accettazione di cose inevitabili come la malattia e la stessa morte, realtà che inducono comportamenti difensivi, volti a negare il problema o a relegarlo in un futuro cui si tenta in ogni modo di dare l’alone di incerto e ipotetico.

Non intendo qui affrontare problemi universali come quello dell’accettazione della morte, sul quale si è scritto anche troppo, vorrei invece concentrarmi sui problemi legati alla scelta dei tempi da parte dei gay in questioni che sono tipiche dei gay. Tra questi problemi c’è la scelta del tempo del coming out. È vero che il coming out non è una scelta obbligata e quindi è lasciata sostanzialmente alla nostra libertà la piena determinazione di base se fare o non fare coming out, ma certamente fare coming out a 15 anni, a 25, a 50 o a 80 ha significati e finalità molto diverse, ossia il tempo, in questo caso, qualifica l’azione in modo sostanziale.

Tra i problemi connessi ai tempi delle scelte “obbligate” ci sono invece quelli legati ad atteggiamenti e a comportamenti che subiscono un inevitabile deterioramento connesso allo scorrere del tempo. Non è detto che si debba per forza vivere in coppia, si può vivere anche come single e, almeno in teoria, non c’è un limite di tempo per avviare una vita di coppia, ma d’altra parte, se la vita di coppia deve essere realmente una vita di coppia e non un surrogato di un rapporto di mutua assistenza, esistono certamente dei tempi entro i quali quella scelta deve essere fatta. Anche i questo caso, andare a convivere col proprio partner a 20 anni, a 40, a 60 o a 80 ha significati e finalità molto diverse.

Quando si parla di gay in genere si intende fare riferimento ad un particolare sottoinsieme dei gay e cioè ai gay giovani, e si individuano come classici problemi gay: la scoperta di essere gay, l’accettazione dell’essere gay, il coming out, la ricerca del partner e la costruzione di una vita di coppia o di amicizie entro le quali vivere la propria affettività-sessualità. Tutte queste cose, come è facile notare, si riferiscono soprattutto ai gay giovani, ma identificare i gay con i ragazzi gay che vanno in discoteca il sabato sera significa dimenticarsi che l’essere gay è un fatto che pervade la vita intera di un individuo fino alla sua fine. Nessuno parla dei gay di mezza età (50enni) o di quelli ammalati, o di quelli vecchi che finiscono nella case di riposo. Anche loro sono stati giovani, certamente in altri periodi, e poi sono invecchiati, ma sono pur sempre gay.

La dimensione del tempo che fluisce è spesso trascurata o dimenticata anche nell’uso delle parole e ci si riferisce talvolta al proprio gruppo di età di appartenenza come se esso fosse qualcosa di stabile e non qualcosa soggetto a mutare per effetto dello scorrere del tempo. I giovani ragionano come se la categoria di “giovane” fosse una loro caratteristica stabile, dimenticando che essi sono giovani “adesso” ma non lo saranno più tra vent’anni e i vecchi si sforzano di eludere l’evidenza che essi sono vecchi “adesso” ma tra vent’anni, e forse molto prima, semplicemente non esisteranno più.

Un gay, come qualunque persona umana, segue una parabola dal nascere al morire. L’accettazione della omosessualità o il coming out o la ricerca di un compagno sono classici problemi gay che o sono esclusivamente gay, come l’accettazione della omosessualità e il coming out, oppure sono universali, come la ricerca di un compagno, ma, per i gay assumono connotazioni tanto particolari e specifiche da diventare un problema sostanzialmente diverso da quello degli etero.

Cercherò ora di affrontare dal punto di vista dei tempi tre problemi tipicamente gay:
1) L’accettazione della propria omosessualità
2) Il coming out
3) La ricerca di un compagno
Partiamo dal primo argomento.

IL TEMPO DELL’ACCETTAZIONE DELLA PROPRIA OMOSESSUALITA’

Per sgombrare il campo da possibili equivoci devo premettere che parlerò solo di ragazzi che sono propriamente omosessuali, non sono quindi bisessuali. L’accettazione non è di per sé un problema, perché l’esperienza insegna che in ambienti in cui non c’è omofobia e c’è una corretta educazione sessuale (come nei paesi scandinavi), l’accettazione della omosessualità da parte dei ragazzi coincide con la pubertà. La sessualità genitale ha già al suo nascere una connotazione omosessuale, la cosa non è un tabù, è possibile parlarne senza problemi in famiglia, con i compagni di scuola e con amici coetanei o anche adulti senza incontrare sguardi interrogativi e perplessi. Tirando le somme, in un’atmosfera del genere l’omosessualità è un fatto normale e dire: “io sono gay” non costituisce un problema, come non lo costituisce il dire: “io sono etero”. Le due cose fanno entrambe parte del dominio della normalità.

Naturalmente immaginare una società assolutamente senza omofobia significa ragionare solo sulla teoria, ci sono però società che rispecchiano abbastanza fedelmente quel modello e nelle quali gli atteggiamenti omofobi sono oggettivamente rari; e ci sono, all’altro estremo, società in cui l’omofobia è instillata attraverso la religione e diventa patrimonio culturale comune e talvolta è addirittura tutelata dalla legge come un valore capace di moralizzare la società.

Il 17 Maggio, è la giornata mondiale contro l’omo-, bi- e trans-fobia. È stata scelta questa data perché trent’anni fa, il 17 maggio 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità rimuoveva finalmente l’omosessualità dalla lista della malattie mentali! Ancora oggi, nonostante i ripetuti appelli del Parlamento Europeo, ci sono Paesi all’interno dell’Unione Europea che non riconoscono alcuna legittimazione legale alle unioni omosessuali. In Italia le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono state introdotte con la Legge Cirinnà, Legge 20 Maggio 2016 n. 76. In alcuni paesi, come l’Italia, non esiste una specifica legge per la repressione dell’omofobia, ma fuori dall’Italia c’è ben di peggio, sempre nell’Unione Europea, in Ungheria e in Polonia i livelli di discriminazione su base omofobica sono ampiamente coperti e tutelati dalla Legge e dalle Istituzioni, ma basta guardare oltre Atlantico per vedere, sotto la presidenza Trump, il risorgere di atteggiamenti omofobi, non soltanto non repressi ma incoraggiati e legalmente protetti. In alcuni paesi islamici l’omosessualità è ancora oggi punita con la pena di morte, pena di morte che è di per sé e in ogni caso un segno di inciviltà. Ricordo incidentalmente che il 30 Novembre 1786, 234 anni fa, Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, Granduca di Toscana, aboliva la pena di morte nel Granducato senza alcuna eccezione, aprendo la strada ad un codice penale di tipo moderno. Era la prima esplicita abolizione della pena di morte del mondo. Ma torniamo all’argomento. In occasione della giornata mondiale contro l’omofobia il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha preso una posizione molto netta affermando che l’omofobia viola i diritti umani il cui rispetto è necessario al pieno sviluppo della personalità. In sostanza l’omofobia priva le persone omosessuali della serenità necessaria al pieno sviluppo della loro personalità e le costringe a comportamenti difensivi stressanti che limitano di fatto la loro libertà individuale.

Nei vari paesi del mondo l’omofobia si manifesta in vari modi e gradi e di conseguenza l’accettazione della propria omosessualità diventa un problema più o meno grave a seconda della pressione che l’omofobia ambientale è in grado di esercitare, si può andare dalla semplice cancellazione di ogni riferimento alla omosessualità, al bullismo violento, alle reazioni scomposte dei genitori e dei colleghi di lavoro e in qualche caso le conseguenze possono essere estreme, come accade nel film “Viharsarok”, un film ungherese del 2014, uscito anche in Inglese col titolo “Land of Storms”, in cui un ragazzo gay subisce la violenza omofoba ambientale, esercitata su di lui in modo così sistematico e persecutorio, che per liberarsi dai “sensi di colpa” indotti, legati all’omosessualità, arriva ad uccidere il suo ragazzo. In questo caso l’omicidio, più che al ragazzo esasperato va imputato alla omofobia ambientale che lo ha indotto a quel gesto estremo. In situazioni come quelle descritte da questo film, accettare la propria omosessualità è veramente drammatico. Ma tra i livelli estremi dell’assenza radicale di omofobia ambientate e di clima omofobico violento esiste una infinita gradazione di atteggiamenti, più o meno aggressivi e più o meno persecutori.

Prendere coscienza della propria omosessualità quando l’omosessualità è dichiaratamente oggetto di discredito sociale, perché è ritenuta una malattia psichiatrica, un comportamento contro natura, una degenerazione morale o una “scelta” colpevole, è oggettivamente difficile. Non si tratta di dichiararsi gay pubblicamente ma semplicemente di accettare di essere quello che si è, ma, per accettare di essere quello che si è, è necessario diventare consapevoli dell’assurdità delle condanne dell’omosessualità, bisogna quindi avere accesso a una informazione oggettiva e non viziata da pregiudiziali ideologiche e bisogna rendersi conto che, per effetto dell’omofobia ambientale, un gay non potrà mai esprimere liberamente il proprio modo di essere e di amare. Tutto questo però non basta, perché una volta acquisite queste consapevolezze subentra quasi automaticamente l’idea di potersi integrare “comunque” nel mondo degli altri forzandosi a vivere la loro vita, ossia recitando la parte dell’etero addirittura attraverso il matrimonio, oppure semplicemente mettendo da parte del tutto la sessualità, sublimandola magari nel lavoro o in qualcosa di così “alto” che appaia degno di un tale sacrificio. Chi vive nei paesi dell’Europa Occidentale, tende a dare alla parola omofobia un significato riduttivo, perché vede l’omofobia come un fatto “ancora presente” e forse “ancora debolmente presente” ma destinato comunque a scomparire e non come un problema angosciante e pesantemente persecutorio, come è realmente ancora oggi in molti Paesi del mondo. I Problemi degli omosessuali non vengono dalla omosessualità ma dall’ignoranza e dal pregiudizio e proprio per questo, la vera soluzione di quei problemi consiste nella diffusione di una cultura libera e onesta, che fornisca ai gay gli strumenti indispensabili per capire e giudicare consapevolmente e agli altri i mezzi per prevenire l’omofobia, contro la quale l’unico antidoto efficace è la vera cultura, che scardina i pregiudizi e abitua i cervelli a pensare in modo autonomo.

Il tempo che intercorre tra la pubertà e l’accettazione della propria omosessualità da parte di un ragazzo gay rappresenta la misura dell’omofobia ambientale che, ovviamente è tutt’altro che uniforme all’interno di uno stato ed ha anzi fortissime componenti locali, legate a singole comunità e addirittura a singole famiglie. Aggiungo che tradizionalmente le religioni, e direi soprattutto le grandi religioni monoteiste sono da sempre in modo diretto e indiretto tra le principali fonti di ispirazione di sentimenti omofobici molto profondi.
In conclusione il tempo della consapevolezza non è nella sostanza una caratteristica individuale autonoma, ma è il risultato del clima culturale diffuso nel quale ci si trova a vivere.

IL TEMPO DEL COMING OUT

Quanto detto a proposito dell’omofobia ambientale nella sezione precedente, vale ovviamente anche in rapporto al problema del coming out. Una precisazione però va fatta: il “problema del coming out” è un problema sorto solo in anni recenti. Già ai miei tempi, ormai 50 ani fa, l’idea del coming out, parlo ovviamente del coming out pubblico, poteva avere qualche connotato di concretezza, forse, per qualche divo del cinema o per qualche super-miliardario, ma, anche nell’Europa occidentale, non sfiorava neppure i cervelli dei ragazzi gay, come oggi non sfiora neppure i cervelli dei ragazzi che vivono in Iran. Oggi, nell’Europa occidentale e negli USA, più che l’idea del coming out “erga omnes” è comune l’idea di un coming out limitato ad un gruppo più o meno ristretto di persone affidabili, ma ancora oggi l’idea del coming out pubblico non è seriamente presa in considerazione come una ipotesi possibile da parte della grande maggioranza dei gay, perché le conseguenze di un coming out pubblico e generalizzato possono essere e sono state di fatto dirompenti anche distanza di anni. In Italia, certo, non ci sono leggi che discriminano gli omosessuali, ma l’omofobia esiste ugualmente e viene esercitata in modo non dichiarato ma sostanzialmente efficace. Per allontanare un dipendente gay, un datore di lavoro non potrà certo motivare il licenziamento con l’orientamento sessuale del dipendente ma potrà mettere in atto azioni mirate di mobbing per ottenere le dimissioni “volontarie” o potrà ricorrere a procedimenti disciplinari sulla base di colpe reali o presente del dipendente. È pur vero che è possibile rivolgersi al giudice del lavoro ma la cosa e dispendiosa e comunque dall’esito incerto e così l’omofobia, se opportunamente nascosta, può continuare indisturbata a fare il suo lavoro.

In genere il coming out con gli amici più stretti è oggi molto più anticipato rispetto a quanto avveniva nelle generazioni precedenti. Molti ragazzi già a 14-15 anni hanno confidato la loro omosessualità agli amici più fidati, anche se non sono rari i casi in cui queste confidenze sono procrastinate anche di 5 o addirittura 10 anni. Le situazioni ambientali specifiche pesano su questi rinvii molto più delle presunte regole generali o delle generiche regole di prudenza.

Tra le forme di coming out ristretto, il comung out coi genitori riveste una particolare importanza ed ha un tempistica piuttosto caratteristica. Premesso che il coming out coi genitori è comunque una cosa non comune (3-4%), anche se si va diffondendo, pur se molto limitatamente e lentamente, col passare degli anni, osservo che o il coming out coi genitori avviene molto presto, tra i 14 e i 16-17 anni, oppure viene rinviato sine die, usando una formula più o meno come questa: “Lo dirò ai miei genitori solo quando sarò economicamente indipendente, perché così, se il clima dovesse diventare invivibile, potrei interrompere definitivamente i rapporti.” Che questo tipo di rinvio sia in realtà un accantonamento definitivo del problema si deduce chiaramente dal fatto che al raggiungimento dell’indipendenza economica non segue nessun coming out coi genitori. Sono molto rari i casi di coming out coi genitori di figli gay adulti e conviventi e in genere sono il sigillo di una dimensione molto rara di rispetto e di affetto familiare sostanziale.

IL TEMPO DELLA RICERCA DI UN COMPAGNO

Vengo ora all’ultima questione che mi ero proposto di affrontare e cioè il tempo della ricerca di un compagno. Qui non si tratta di compiere in uno o in un altro momento un’azione o di raggiungere una consapevolezza, cioè di definire il tempo di un’azione sostanzialmente “puntuale” ma di definire un periodo, normalmente molto lungo in cui può concretizzarsi la ricerca di un compagno. Il tempo della ricerca di un compagno, ha quindi un inizio e una fine, normalmente collocati in fasi della vita molto lontane. Per un giovane ha senso chiedersi da quando è possibile o opportuno cercarsi un compagno, per un uomo maturo ha senso chiedersi da quando diventa impossibile o quanto meno inopportuno cercarsi un compagno, ovviamente si tratta di situazioni estremamente diverse ma che fanno parte entrambe della dimensione gay.

Per un adolescente non c’è nulla di più sgradito che sentirsi dire: “Aspetta! Devi crescere! Prima di fare le tue scelte devi maturare!” Il verbo maturare è diventato così importante che ha dato il nome agli esami che concludono la scuola secondaria. Prima dell’esame di maturità tutte le scelte sono di fatto compiute dai genitori, dopo l’esame di maturità c’è la prima vera scelta operata dal ragazzo, che è la scelta della facoltà universitaria. Si tratta di una scelta estremamente importante che è affrontata spesso con la totale inconsapevolezza che si sta decidendo qualcosa di fondamentale per il futuro, in altri termini si sceglie sulla base del sentito dire, senza raccogliere informazioni serie e spesso assumendo come motivazione fondamentale la volontà di compiacere i propri genitori adeguandosi alle loro aspettative. In altri termini, molto spesso la scelta della facoltà universitaria è affrontata in modo profondamente immaturo.

Anche per la ricerca di un compagno si richiede un adeguato livello di maturità, il fenomeno non è nello sostanza molto diverso dalla scelta della facoltà universitaria. Per cercarsi un compagno bisognerebbe avere un’idea realistica della vera vita di coppia dei gay che vivono in coppia e bisognerebbe anche capire perché moltissimi gay non desiderano la vita di coppia, ma non solo, bisognerebbe anche sapere dove cercarsi un compagno serio e come comportarsi nelle fasi iniziali di una possibile relazione, ma anche in questo caso ci si affida al sentito dire e molto spesso si compiono scelte in modo immaturo. Una educazione sessuale seria e una informazione specifica seria sulle vere esperienze degli altri ragazzi gay sarebbe molto utile e favorirebbe scelte consapevoli costruite sulla base di dati attendibili, ma, almeno in Italia, l’educazione sessuale, che fino a qualche decennio fa era demandata di fatto solo alla chiesa, è ormai delegata, anche questa volta di fatto, solo alla pornografia e ai siti di incontri. In una situazione simile è inevitabile che i ragazzi compiano scelte in modo immaturo e commettano errori di vario genere, che portano come conseguenza stati di disagio, di insofferenza e di frustrazione.

Come la Scienza procede per tentativi ed errori, così anche l’acquisizione di un’esperienza in campo affettivo e sessuale procede per tentativi ed errori. Se dall’esperienza si impara e non si commettono di nuovo gli stessi errori, allora il patrimonio di esperienza si accumula e la visione dei problemi relazionali e di coppia diventa sempre più matura. Se, invece, dell’esperienza non si fa tesoro e si entra in un circolo vizioso al cui interno si ripetono sempre gli stessi errori, anche se con persone diverse, non si arriva mai ad accumulare un’esperienza tale da consentire scelte consapevoli e mature.

La ricerca di un compagno è appunto una ricerca che può concludersi con la creazione di una coppia stabile, o almeno all’inizio ipoteticamente stabile, ma può anche condurre ad una lunga e più o meno frustrante serie di tentativi che contribuiscono anch’essi alla maturazione di un’esperienza sulla base della quale si possono affinare i criteri per proseguire la ricerca, si possono ridimensionare le aspettative e si possono valutare diversamente le esperienze precedenti.

Tra le tante possibili determinazioni alle quali può condurre l’esperienza accumulata nella ricerca di un compagno ve n’è una molto particolare che è la decisione di porre fine alla ricerca, perché abbassare troppo le aspettative o attendere sine die l’arrivo del compagno ideale significa in buona sostanza cercare di accontentarsi di qualcosa che non sarà comunque soddisfacente oppure spendere il proprio tempo in un’attività che è destinata con alta probabilità a non conseguire ad alcun risultato. La conclusione del discorso si può riassumere con l’espressione: “Basta! Non posso buttare via anni e anni della mia vita correndo appresso a sogni che probabilmente non si realizzeranno mai!” Certamente non si rinuncerà alla vita affettiva-sessuale ma si metterà da parte per il futuro il modello di tipo quasi matrimoniale di “due cuori e una capanna”. A che età accade tutto questo? Prima di tutto va chiarito che non si tratta di una decisione formale ma di qualcosa che matura lentamente negli anni e prende via via sempre maggiore consistenza. Il processo è tanto più rapido quanto più veloce e pesante è la serie di frustrazioni cui si è andati incontro..

Ammettiamo che ci sia stato qualcuno che ha accumulato poche esperienze e tutto sommato poco frustranti o che magari ne ha accumulate molte e deludenti ma è animato da un entusiasmo indomabile, in casi del genere la decisione di dire “Basta!” può non maturare affatto e, almeno in teoria, la ricerca di un compagno potrebbe andare avanti senza limiti di tempo. Ma il passare del tempo crea trasformazioni sia fisiologiche che psicologiche così profonde che molte delle motivazioni di fondo che erano state alla base della ricerca di un compagno negli anni giovanili e anche nella maturità, vengono meno di fatto per effetto del solo trascorrere del tempo. La libido sessuale non è più quella della gioventù, il desiderio di novità è nettamente ridimensionato, la salute comincia non è più un fatto scontato e ogni cambiamento nei ritmi di vita diventa problematico. In buona sostanza i problemi della vita di coppia, sulla bilancia del singolo individuo, finiscono prevalere sui possibili vantaggi. In questo modo la vita di coppia perde il suo fascino e la solitudine diventa, per qualche altro anno, il surrogato più accessibile della beatitudine. Tutto ciò ovviamente dura fin quando la solitudine resta di fatto un’ipotesi gestibile, cioè fin quando dura l’autonomia fisica individuale.

Vorrei chiudere queste riflessioni con un brano di una mail che ho ricevuto una decina di giorni fa da un ragazzo trentaduenne, che può far luce su un modo di affrontare la ricerca di un compagno che oggi, va sempre più diffondendosi.

“ … Ho avuto tanti ragazzi, erano bravi ragazzi, ma non ero innamorato di loro, con alcuni di loro ho provato a costruire qualcosa, ma quando manca la spinta di fondo c’è poco da fare, alla fine non puoi costruire niente. Mi sono innamorato di alcuni ragazzi ma a loro non importava niente di me. Ho avuto un ragazzo dignitoso col quale non stavo male, anche se non stavo bene veramente, con lui, forse, avrei potuto costruire qualcosa, ma aveva paura di tutto, era ipocondriaco, aveva perfino paura di toccami, alla fine ha preferito andarsene che superare le sue paure. Alla fine di tutte queste storie che c’è rimasto? Ho perso anni e anni della mia vita e ho capito che forse alla fine stare soli non è la soluzione peggiore e poi, io non sono solo, non ho un ragazzo ma ho tanti amici, ho un lavoro che non è un gran che ma almeno mi lascia tranquillo da quel punto vi vista. Non so se ci sarà mai un ragazzo per me, ma sono stanco di pensare a queste cose se quel ragazzo arriverà allora ci penserò, ma per me il tempo delle chat e dei siti di incontri è proprio finito.”

T4O
Messaggi: 34
Iscritto il: giovedì 2 aprile 2020, 11:21

Re: GAY E TEMPO

Messaggio da T4O » mercoledì 20 maggio 2020, 20:09

L'amore non ha età.

Per il resto: wow!
rispetto massimo.
ogni giorno qualcosa di bello ti è già successo e qualcosa di bello ti accadrà ancora.

Rispondi