Spero di non essere fuori luogo... ma dopo essermi letto tutto il thread vorrei almeno esprimere la mia
Prima di tutto dico che quanto scritto da Barbara più sopra riassume benissimo dove stiano le radici di ciò che sto per dire: la provenienza individuale di ogni convinzione.
Nel leggere quanto da voi scritto, non ho potuto fare a meno di notare la formazione di due linee di pensiero principali: una di Marco090 in cui si vorrebbero razionalizzare (nel senso di dare ragione, un senso) le repressioni autoimposte, sfociando a volte in un pangiustificazionismo; un'altra sostenuta da Arrofus, la quale annichila ogni tipo di razionalizzazione giustificatoria, ma arriva a volte a farsi fredda distruzione delle decisioni individuali.
I vostri pensieri sono inconciliabili, non c'è che dire. Entrambi hanno una forte valenza per voi per il fatto di essere frutto di una serie di scelte, rammarichi, sofferenze e realizzazioni.
Entrambi però a volte diventano degli esempi di pensiero forte, un pensiero che dice di se stesso di essere incorruttibile.
La condizione umana che caratterizza noi gay è quella di entrare alla nascita, nella maggior parte dei casi, in un mondo le cui regole sembrano essere in antitesi con quelle che fanno funzionare il nostro cervello. Ci deformano, influenzano, spaventano. Tutto ciò ci fa sentire l'esistenza più assurda. Quella che interiorizziamo non è omofobia, quanto semmai fobia, phobos vera e pura. Per quel che mi riguarda, spesso e volentieri mi sono trovato dinanzi a me stesso chiedendomi perchè ancora oggi sono ben pochi quelli che sanno di me (e i miei genitori non sono tra questi pochi) e, in grazia della mia autocoscienza psicoanalitica, ho notato come spesso alcune volte razionalizzo certi comportamenti, tendo a vedere la parte più oscura delle cose pur di giustificare i miei terrori. Eppure so che non posso imputare tutto a una follia giustificatoria. Parte di quel che mi blocca, è una questione morale: non vedo perchè i miei genitori dovrebbero iperenfatizzare la mia sessualità interessandosi più a chi mi porto a letto che al fatto che io sono loro figlio. Cosa cambierebbe una volta che ve l'avrei detto nel nostro rapporto? Sarei il figlio o sarei il figlio gay? E allora i venti anni di passato cosa sono stati? Un'idealizzazione continua? Un continuo sperare di vedere dei nipotini e il proprio figlio all'altare con una donna? La stessa cosa vale coi rapporti con gli amici di vecchia data.
É doloroso dover mettere in questione il chi-sono-io. Lo è anche il farlo col chi-sono-io-per-voi.
Una volta su un sito di incontri (mi ero iscritto tanto per fare, ora nemmeno lo guardo più) un ragazzo mi ha preso a insulti molto pesanti perchè mi ero permesso di criticare il fatto che definisse qualunque persona non dichiarata un pusillanime, un traditore, qualcosa di paragonabile alla feccia umana. Naturalmente, da uno che vive la propria vita psicosessuale su un sito di incontri non ci si può aspettare molto di più che la pura banalità del Male.
Quel che non voglio, è proprio che l'orgoglio derivante dall'essere ''andati oltre'' quei pensieri tanto codardi e razionalizzanti non diventi la denigrazione di qualcuno che ci è per motivi diversi dai propri. Quella denigrazione ha la perversa abitudine di far dimenticare a chi la utilizza il fatto che se ora può permettersi di usarla è perché ''ci è passato''. Arrofus non è arrivato a questo, ma prevenire è meglio che curare.
D'altra parte, bisogna riconoscere una cosa. Mi servirò di un modello utopistico: ipotizziamo che domani a tutte le persone omosessuali, bisessuali e transessuali represse e non, si accenda sulla fronte una spia blu che li fa riconoscere. Non c'è modo di asportarla, semplicemente tutti i bambini che nascono e tutti gli adulti già nati, se gay, hanno una spia che ne fa capire la sessualità e ne impedisce il nascondimento. Verrebbero meno tutte le razionalizzazioni, verrebbe meno tutto. Ogni persona sarebbe svelata, e non ci sarebbero più segreti da mantenere. Tutti saprebbero tutto di tutti, e non avrebbe più alcun senso nemmeno sostenere posizioni omofobe, perchè di sicuro l'umanità capirebbe che siamo tanti, e tanti omofobi probabilmente scoprirebbero che qualcuno di molto vicino a loro è gay.
Questa noiosa ed enorme metafora vorrebbe farvi capire che in parte noi siamo i corresponsabili della sopravvivenza dell'omofobia, e lo riconosco. Se tutti facessimo outing in un solo colpo (nella metafora, sarebbe dovuto automaticamente alla spia blu, e il senso stesso di outing non sarebbe più necessario) l'omofobia sparirebbe, perchè dovrebbe arrendersi dinanzi a un fatto: che se vuole perseguire il suo scopo dovrebbe uccidere all'incirca il 10% degli individui sulla terra. Tale ideale ricalcherebbe solo gli ideali nazisti, che, come gli eventi della storia hanno dimostrato, hanno posto un'antitesi troppo grande da poter essere sostenuta dal mondo, e coloro che li misero in atto furono puniti - mai abbastanza. Perdonatemi se tiro sempre in ballo il nazismo e il pensiero della Arendt, ma è ciò che maggiormente mi ha influenzato nello sviluppo della mia personalità.
Naturalmente, secondo la mia opinione, non è solo il fattore della repressione a creare altra repressione; ma qui non mi dilungherò.
È vero quindi che ogni volta che qualcuno fa outing si oppone automaticamente a tutta quella serie di ideali utopistici che vorrebbero far finta che quelli come noi non esistono o che fossero eradicati dal mondo.
È anche vero che nel fare outing ci si pone effettivamente nel mondo, non sentendosi più in dovere di nascondersi dinanzi a nulla. Viene ad affermarsi la personalità, che si realizza.
Quello che però non mi sentirei in grado di fare, è di criticare chi sceglie di non farlo. L'outing non capita; è una scelta. Proprio per la sua natura individuale, non può essere soggetta a generalizzazioni di sorta. Dire che il 98% degli omosessuali potrebbe permettersi l'outing è un tentativo di presupporre che tutti lo vogliano. La realtà, è che il 100% delle persone, in quanto persone, hanno una vita passata e una psiche individuali. E l'outing non è una cosa che ci si può o meno permettere, è una scelta che coinvolge non solo fattori di convenienza, ma anche affettivi, illogici, a volte.
Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali.
Hannah Arendt.