I RANDAGI

La realtà dei gay, storie ed esperienze di vita gay vissuta
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Gherardo
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RANDAGIO (XLIX)

Messaggio da Gherardo » lunedì 14 marzo 2022, 1:07

Una volta più di mille mi sono strinto al tuo cuscino. Che lasciasti qui. Dicendo fa' che ti resti. È un drappo di stoffa. Rattoppato. Che era mio. E ora serve a te. Usavi dormirci in quelle sere. Quando entrava uno zeffiro calmo. E tu sopra di esso sorridevi. Era immerso il tuo viso in una luce di carmine e rosea. Oppure erano altre notti. Nelle quali solevi mettermi da parte delle tue incertezze. Ed io ti ricordavo i passi da gigante. Sollevandoti gli occhi quasi sospirando nel fondo della notte. Che non erano lamentele. Ma emozioni tue. Da tutelare e capire. Io ti amo così come sei. Non con più muscoli. O con capelli più belli. Né con spalle più larghe. O m'importa che il tuo sesso sia più grosso. Tu mi dài già il più di cui ho bisogno. Ad oggi mi addormento. Come morendo. Come senza saperlo. Rammentandomi che è l'amore ad esortarmi più battaglie.

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RANDAGIO (L)

Messaggio da Gherardo » mercoledì 23 marzo 2022, 14:27

Ho dato poco meno di mille lire ad un ragazzo che suonava in strada. Gli accennai come di un sorriso. Ché mi sembrò la sua chitarra scordata come la mia vita. E gli tesi le due mani. Lui non mi guardò indietro. Non mi rese grazie. Eppure quella protervia capivo bene in cuor mio. E per lui sorrisi una seconda volta. Furono a malapena aperte le labbra. Impercettibili come una madonna del duecento. Vicino era l'Arno e trascorreva il mezzogiorno. Ma un suono più bello piegava le mie orecchie. Ed era la tua voce. Tu mi dicevi che ero bello. Anche coi capelli sfatti e la barba che non aveva rasoio. La giacca di trent'anni che fu di mio padre. Dolcemente mi feriva il tuo affetto. E il non vedermi come a te parevo. Ché sempre più gigante mi faceva il tuo amore. Volsi gli occhi davanti. Mi cascarono su di un padre che stringeva il figlio. Ne rimasi come attonito. Ché il padre era bello e virile. Mentre il pargolo alzava le piccole mani per aria. E mi chiesi come l'amore di cento uomini sarebbe mai potuto valere l'amore dell'unico uomo che avrebbe dovuto amarmi e non lo ha fatto. Mi feci coraggio sui Lungarni. Anche se non servì a niente. Al vedere l'acqua nera ricordai lo scuro della tua pelle. Abbellita dal sole del Mezzogiorno. Quando si apriva la via sul piazzale di marmo. E rammentavo le notti che insonne per incubo mi tenevi fermo fra le tue braccia. Ritrovavo sveglio di soprassalto la tua barba sulla fronte. E capivo quanto fosse diverso amarti.

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RANDAGIO (LI)

Messaggio da Gherardo » lunedì 28 marzo 2022, 21:57

Innumerevoli volte ho sperato che ti trovassi un altro. Quando per strada ti sorridevano i corridori. O ti ricercava un vecchio amante. Anche il figlio del macellaio ti dava i suoi saluti. E il corriere ti ammiccava. Perché non ne trovi uno che ti dia una vita normale? Di un Ulisse nessuno se ne fa niente. Anche se bello. Ma tu ti arrabbiavi. Saliva un bel rosso alle tue guance. E si intorbidivano i tuoi occhi del loro verde intensi. Che me ne faccio degli altri? Di uscire e di dar conto alle loro lusinghe? Loro non son niente. Falla finita ero io a dirti. Questo non è l'Ellesponto. Ma il Tirreno. Questo è un mare che non ci permette di far Ero e Leandro. Tu finivi per rispondermi in sardo. Ma ormai sapevo capirti. Ma perché non ci vai? Prendici un caffè. Mica vorranno tutti far l'amore. E tu. A me m'importa di far l'amore con te. Mi motteggiavi in toscano. Sei l'uomo più bello che abbia mai visto. Anche così? Sì, anche così. Pure non avendo dormito. Fiacco dal lavoro. Esasperato del caso. Pesante per il cuore. Tu sei diverso. E pronunciavi il mio nome con fiera dolcezza. Senza gorgia. Ti prendevo la mano accettandola nella mia. Come mi avessi invitato per un lento. E sorridevo. Va bene. Ho capito. Mi dicevi, sei amante, amico, compagno, confidente. Sei tutto per me. Non smettere mai di credere in noi. Ci stendevamo in terra. E mi mettevo sopra di te. Spingevo il mio corpo sul tuo. Il sesso sana l'anima se è far l'amore.

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RANDAGIO (LII)

Messaggio da Gherardo » sabato 9 aprile 2022, 0:19

Una volta che bevvi intero tutto il bianco tu mi chiedesti perché. Per piangere ti dissi, perché altro? Erano distese le braccia e il capo sul letto disfatto. E quant'è bello piangere, Dummì, per chi senza vino è incapace di farlo. Scivolavamo da me le tue mani. E non la grandezza delle mie riusciva a tenerle. Cadevano nel dolce sonno. Ma tu eri distante. Non gesti ma pensieri, non atti ma intenzioni, in quell'istante eri. Mi chiedesti di far moltiplicazioni. Ma fu semplice farle. E mi chiedesti frazioni. E a mente ancora semplice fu farle. È una maledizione ti dissi ridendo. Bere così e rimanere sempre d'una qualche lucidità. È nel nostro gene. Rammento che al finire dei filari di viti c'erano sempre tanti fiaschi scuri. Il nostro sangue è del colore del vino. Mi baciasti le labbra. O avrei voluto tu lo facessi. Come sempre eri solito farlo. Poggiavi le labbra là dove si intravedevano i segni delle botte. E mi davi l'amore che non aveva chi le fece. Toglimi le stimmati. Io non voglio esser santo o martire. Ma uomo. Né mi fa ebbro aver quattrini o posizioni. Il mio sogno è ben più banale. Tu sei per me la promessa di una vita normale.

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RANDAGIO (LIII)

Messaggio da Gherardo » venerdì 29 aprile 2022, 0:36

Fu a ridosso del tuo petto. Contro la calugine bronzea e scura. Mentre fortemente a me stringevo il tuo braccio. Dal quale sorgeva un odore come di mare. Che mi dicesti perché non vieni via con me? Certo non è molto quel che ho. Ma fosse anche un centesimo io lo dividerò con te. Ti baciai la pelle come fatta di roseo ferro. Ettore, tu sei per me padre e nobile madre, e fratello. Rammentavo di dirti. Tu sei il mio sposo fiorente. Anche in capo al mondo son pronto a seguirti. E già gli occhi facevano un sesso di cui il corpo era incapace. In molti dicono che l'amore non sia una scelta. Eppure arriva il momento, negli stenti e nelle violenze di ogni giorno, che anche amare lo diventa. E si tratta di non scegliere di amare un uomo come l'ultimo di altri mille incontri. O volendo come smania un di più di inafferrabile. Abbrancando nel buio di una brama senza fine. Così anch'io, da questa piccola parte, non scelgo che amarti ogni giorno. Forse verrà il momento che non potremo più. E finirà questo burbero romanzo. Ma sarà una fine ad un qualcosa di reale come uomini e non come semplici maschi. Che costruimmo nel rispetto l'uno dell'altro. Non darmi notti stellate e fiori, vacui involucri di parole. Dammi strazi e labbra insanguinate, amori che tolgano il respiro, che mi provino, che cambino dalla fondamenta quest'esistenza. Non è una dichiarazione d'amore ma di guerra. Fa' ch'io chieda un uomo che voglia sempre migliorare sé stesso. Nient'altro chiedo all’amore.

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RANDAGIO (LIV)

Messaggio da Gherardo » martedì 17 maggio 2022, 23:09

Farti salvo. È tutto ciò che restava della tua fanciullezza. Un giorno rammenti sul capo ti cascò una trave. E dai lobi incominciò a scorrer il sangue. Ma tua madre non mosse alcun gesto. Finita di mettersi la cipria, prese l’uscio, e se ne andiede. Tu rimasi come bimbo non sapendo che aspettare. Là ignudo ed unto di sudore. Inerme a terra agguantando coi palmi il fianco del viso. E nelle mani insanguinate giacevano tutti i pensieri. Mentre nella rabbia delle lacrime si inaspriva quell’imperativo di una vita. Ma già era lontano l’odore dei bianchi narcisi. Che lungo il piccolo rivo come spontanei solevano crescere. Forse furono i tuoi avi a darne pieni i campi. È bello per sé avere un pezzo di terra. Un luogo dove non esser che niente. Inciampando nei buccheri etruschi o nel porrandello dei campi. Non esser cosa legata a dovere sociale. O vari dolci costrutti. È bello poter piangere inveduti. Perché si è sempre belli nelle tragedie. Eroi ma soli. Quando dall’uscio brevi erano i gridi. Di non prendere maglietta bianca. Per non parere un disperato. Benché fosse. Non voglio una bellezza che sia una condanna. Metta il cielo ad un Perseo i più bei calzari. Ché caschi in questo cielo senza stelle. È stato su un tronco. Al limitare ormai della sera. Che ho lasciato il vischio su cui eravamo soliti indugiare. Un laccio rosso lo stringeva per non farlo cadere. L’ho posato nell’orto dove usavamo darci botte e parare. Insegnando coi lividi ai nostri corpi virilmente la difesa. Un giorno promettesti che saresti tornato a prenderlo.

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RANDAGIO (LV)

Messaggio da Gherardo » martedì 31 maggio 2022, 23:58

Come nuda materia se ne stava Santa Maria Novella. Tu di fianco a me restavi. Nei rivoli di gente dove sentivo sfiorare le tue mani. Ma più vaste erano le piazze e i palazzi. Che balenavano come begli spettri alla luce del giorno. Erano dispersi i nostri guardi. I tuoi tremavano per la prima bellezza. Mentre i miei coglievano le barbarie dei Risanamenti. Ed erano intenti a rinverdire nella mente le forme dei ponti. Prima che tutti cascassero nelle scure acque dell’Arno. Davanti alle sue sponde ci siam seduti. Qui sulla scala d’un santo quando d’intorno odoravano i fiori e i tralicci. Abbiam mangiato così. Colle due lire che ci rimanevano nella tasca e facendoci belli ai mercanti. Te conoscevi bene la mia tempra. E dentro agli Uffizi in briglie la tenevi quando avrei voluto far a botte coi passanti. Ché nessuno ormai si può avvicinare ai Botticelli. Ma soltanto dargli le spalle o far più belle foto da lontano. Ché l’arte ormai non serve che alle reclami. E non fa più bello nessun uomo. Ma ti ridevano gli occhi. Mentre per rabbonirmi dicevi di scambiarmi per una statua di bronzo. Dai vetri si squarciava complice il vespro. E rasenti alle madonne, nel buiore dei vicoletti, ti dicevo che il vero bello di Firenze stesse nella gente. Scostata dal tumulto delle logge e dagli strabordi nei baretti. Anime che ancora sapessero di semplice e riguardi. Noi andavamo cercando un dolce dal panaio oltre i Lungarni. Quando una vecchina ci fa segno di andare più avanti. Entrammo in una bottega che teneva un forte odore di cantuccini e innegabilmente sapeva di casa. Ci accolsero come in famiglia. Con la confidenza che i toscani sanno rapinare fraternamente a chiunque. Uscimmo con le labbra unte di mandorle. Mentre ero più fiero di averti mostrato questo che tutte le morte collezioni dei dipinti. Indugiammo fra le luci di Santa Maria Novella. Incoscienti di poter perdere qualche altro treno. Ma un oggi come questo forse non riviene. E ti esortai ad entrare fra l’antico dei ceri. Al canto che si animava dal fondo del Masaccio. Tu forse pregavi. Ed era come se fossimo stati morti.

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RANDAGIO (LVI)

Messaggio da Gherardo » venerdì 3 giugno 2022, 1:15

Dici che sono il maschio che cerchi. L’inafferrabile Peter Pan. Ma non saprei come descrivermi. Anche se tu sorridi di me. E sei geloso che nessuno riesca a dirmi di no. Audace. E fiero. Incline alla lotta. Ma le ombre della notte sono come cappi al mio collo. E si stringe contro di me questo interminabile Purgatorio. Dove si ragiona e si è belli ma non si riesce a far niente. E vorrei lasciare questo timone con ogni forza. Quando il dolore è un interminabile viaggio che non trova rimedio. E sbando ovunque. Avendo foga di distruggermi. Perché mi è capitato già di tutto. E che c’è ormai da perdere? In fondo alla storia tocca anche a noi diventare spuma del mare. Così a me non interessa soltanto prendere. Ma anche esser preso. Non esser un infante che vola. Ma anche una Wendy. Non voglio soltanto salvare. Ma esser salvato. E non c’è niente di sesso in questo.

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Re: I RANDAGI

Messaggio da progettogayforum » venerdì 3 giugno 2022, 2:09

Veramente bellissimo!

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RANDAGIO (LVII)

Messaggio da Gherardo » venerdì 1 luglio 2022, 17:16

Risuonava la tua voce dal fondo delle travi. Di me diceva ch’io fossi il lupo. E ovunque nei gesti manifesto il mio non aver avuto famiglia. Così spingevi decisamente il tuo volto sul mio. E ricordavi di quanto fossi un randagio. Ma banale era addolcirlo coi baci. Il tuo restava un inutile veleno. Ché non viene niente dal parlare del mio dolore. Né raccontare la mia storia. Ma tu, anima mia, non pensi? che davvero avrei voluto il calore di una madre. E mi dici di essere troppo schietto con la gente. Rozzo e bizzarro come i miei parenti di paese. Eppure son queste mie spalle a reggerci. Anche nella notte quando è chiesta ogni mia virilità in te. Tutto ciò che di me ti affascina a gran prezzo di dolore io l’ho comprato. E son io oggi qui a salvarti. Dove tutto mi è lecito dar via. Perché fisso mi è rimasto in petto il bersaglio. E il nostro fine da perseguire. Ma andare avanti in amore è come lavorar sotto il sole nei campi. Quando levando gli occhi al paese come inesorabili Calvari sembravano i colli e i poggi intorno. E dubbi sovente sentivo assalirmi. Ma tu non riuscivi a capire. Ed io nelle liti chinavo la testa. Restando cheto. In me restava, come aperta voragine, quella fame di umano.

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