I RANDAGI

La realtà dei gay, storie ed esperienze di vita gay vissuta
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progettogayforum
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Re: I RANDAGI

Messaggio da progettogayforum » domenica 16 aprile 2023, 19:13

Concordo pienamente! Le dinamiche sociali possono essere qualche volta gratificanti, ma sono spesso deludenti o almeno fanno perdere moltissimo tempo, che potrebbe essere speso meglio. Per raggiungere un obiettivo importante bisogna non perdersi in rivoli di correttezze e di obblighi sociali che allontanano dall'obiettivo principale.

Gherardo
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BREVE RIFLESSIONE (RANDAGIO LXIV)

Messaggio da Gherardo » venerdì 26 maggio 2023, 14:11

Ci si addormenta soli anche con un amore. Quando il giorno pesa più della notte. E due braccia e un petto non bastano a risolvere la situazione. Anche gli amici si stemprano nelle solite parole. E non vogliono spostarsi dalla propria incapacità di capire. A scrollarsi di dosso quel razionale biasimo che, comunque, non porta a niente. Ma qua ci stanno già troppe parole. Ed oceani di sforzi, come spuma chiara di mare, si schiantano da ogni parte. Non rimangono colori su questi scogli. Né il bel verde delle acque, non il ceruleo del cielo. Resta l’odore acido del guasto. Fra le carcasse assolate e incapite, dense di schiuma. Eppure per chiunque il “di più” non si raggiunge mai. E non esiste un settimo giorno per riposarsi. Le ore, ed i giorni, gli attimi, tutti svaniscono in una materia inanimata e confusa, dove l’imperativo è andare avanti. Anche legittime ragioni e motivazioni, gravità insolubili, non valgono a niente. Ti fanno un Ercole ma ogni debolezza è immenso male. Ma quando i risultati, anche miserrimi, ci sono e vengono screditati meglio allora restare in silenzio. Evitare finti confronti. Lavorare al meglio da sé.

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AMORI COMPROMESSI (RANDAGIO LXV)

Messaggio da Gherardo » mercoledì 14 giugno 2023, 11:42

Da uomini concepiamo affetti diversi da quando siamo ragazzi. Per forza di cose siamo tenuti a farlo. È la vita che alla fine ce lo impone. Anche se i desideri e la loro forma rimangono gli stessi. Non ci rendiamo conto che anche l’amore prima o poi è costretto a piegare la testa. Tocca pure a lui, ormai, quando non è capace di fare altro. Ed anche se mantiene la sua virile ed autentica complicità, questo bene non sa più guardarci negli occhi. È un bellissimo tumulo il tuo sguardo stanco. Alla notte quando dormendo ti avvicini a me. E chini il capo sul mio capo moro e sussurri di perdonarti della vita che mi stai facendo fare. Perché nel giorno mi fermi il braccio, colto dallo studio, e mi dici ora c’è da lavorare. Sogni e redenzioni non competono con l’avere il pane. E mi alzo serrando tutti i miei libri. Restando cheto sulle mie ragioni. Non sono sudate le carte, ma le vesti, gli occhi, fino alla mente, che non sanno con quale finzione reggere ai colpi. E mi svesto e do tutto quel che c’è da dare per una minima sopravvivenza. Dentro questa vita perdo il sonno e la fantasia. Mi espongo al bel ludibrio di vecchi e giovani. Ma belli e brutti son la stessa cosa. Come materia indistinguibile di braccia e gambe spinta dallo stesso niente. Guadagniamo il tanto che c’è da guadagnare. E mi dici che ti faccio coraggio. Ma a me, anima mia, chi mi fa vero coraggio? D’altra parte, anch’io ho bisogno di sentirmi come se questa sia ancora casa mia, di essere al sicuro. Non tra le braccia di altri, non fingendo affetti ed amori. Anche questi sono bisogni di un uomo. Ma in questi casi è meglio evitare di esporsi anche con amici. Perché banali esternazioni, confidenze, raccontate per ingenuo affetto e stanchezza vengono percepite come rotte lamentele, cocci incrinati che raschiano ovunque. Dissonano contro la normalità che hanno vissuto tutti gli altri. E per questo le parole sono ignorate, viste malamente. Al contrario ci viene detto di continuare a lavorare, di far finta di niente, di chinare ancor più il capo. Meglio evitare queste inciampi. Vanno ringraziati anche i carnefici col sorriso. Nel mentre che ci dicono che siamo uguali, ma non uguali come gli altri. Forse neanche noi sappiamo più in quali occhi guardare più l'amore.

Gherardo
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PERVERSIONE ED UOMINI (RANDAGIO LXVI)

Messaggio da Gherardo » giovedì 24 agosto 2023, 19:35

Mi cadevano i folti ricci neri dalla fronte e dal petto. Quando in aperta campagna mi ha fermato un uomo. Eravamo per strada e non troppo lontani. I vigneti cadenzavano il loro profumo attorno. Fermandosi con la macchina mi ha chiesto se volessi un passaggio. Lo rifiutai gentilmente al modo dei ragazzi di Kavafis. Non curandomi su dove andasse. Avevo dal canto mio già un uomo a casa. E non per me uomo come gli altri. Non uno dei passati amanti o dei fugaci complici di una volta. Avevo per me un uomo da cui tornare. E pendeva dolcemente sul madido petto la Sardegna. Non come collare di finto oro ma promessa. A sfiorarla con le dita tornavano indietro luci e colori. Quando lungo le vie del Corso chiunque sembrava voltarsi. Così molti dei tuoi passati amanti. E il dolore tutto pareva aver trovato il suo posto. A notte stringendoti ti chiedevo è vero, o sto dunque sognando? E tu, amore, sesi su sobi che stuardasa atrasa stellas. Sei il sole che stordisce ogni altra stella. Molti uomini mi chiedono ancora mille depravazioni. Innocue od intime parafilie. Ma per me la perversione più grande non involve urine o secreti, botte o vesti in pelle. È aver affianco un maschio, fortezza d’uomo, a cui tornare. Che non mi cambi nel giorno o nella notte con altri, bramando il più o il meno. Al cui sguardo io rimanga cosa incapace di tradire. Quell’uomo che non è giusto, ma che sa rendersi giusto ogni giorno.

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RANDAGIO SENZA NUMERO

Messaggio da Gherardo » martedì 10 ottobre 2023, 0:02

Nun ce sta nient a fa’. Dobbiamo accettare di non saper ancora vivere. Anche se ci piace fingere di essere uomini. Alla luce dei fatti non abbiamo compreso, o meglio, non abbiamo voluto comprendere realmente, le dinamiche della gente. Dinamiche e gesti da imitare non per vizio o per moda, ma per una reale sopravvivenza. Quella sopravvivenza antica e presente, addentata nei tendini della carne, lacerata a morsi nei suoi rivoli di sangue. Un’umanità, a vederla così, bestiale. Ma di una bestialità maligna di cui nessun’altra creatura sarebbe mai capace. Ci viene gridato allora che siamo stupidi a non saper fingere. Ad aver una natura di questo tipo. Che bisogna piegarsi al volere della gente. Non esser Bruno ma Galileo. Smetterla anche con questi paroloni. Parlare meglio. Scrivere meglio. Non così. E dopo anni, anni dove si è cresciuti, e non si è più ragazzi, si finisce col sentirsi profondamente sbagliati. Non come messi da parte ma come inutili ed inadatti. Oggetti squallidi che non hanno un luogo dove riporli. Incapaci di adattarsi a quello che è il mondo reale. E non c’è finta modestia che regga. È forse giusto sentirsi sbagliati. Con le mani mozzate dall’incapacità di cambiare. E gli altri non c’entrano niente con questo. Gli altri non hanno colpa. La responsabilità è nel nostro intimo.

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