I RANDAGI
I RANDAGI
Torno a scriverti stasera. È semplice il perché: siam uomini soli. Finiscono i giorni in modo inesorabile, e così finiamo noi. Volta per volta, non tramonta soltanto il sole. In una vita randagia ci si perde senza un’amore fisso, senza poggiare davvero il capo sul petto di qualcuno, saggiarne le braccia di quercia. E si desidera esausti la notte qualche lieve dolcezza, non romanticherie, non rammento romanticismi, dico soltanto umanità. Perché si è umani soprattutto quando ci si sente amati. E se manca l'amore, che cos'è la vita? — Tu non dirlo al mondo: anche un uomo ha bisogno di tenerezza. Non importa come sia, va bene anche un amore infelice. Basta che sia l'amore. E rido se penso che vorrei essere accettato da un mondo che io stesso non saprei accettare. Di te poi, o Lettore, immagino una vita migliore della mia. Vado davvero, come un cane, ad aspettare seduto trai cassonetti chi non merita il mio tempo. Fammi bello come un San Sebastiano nei tuoi pensieri. Non è tanto lontana la mia esistenza. Ci si strugge qui nell’essere audaci, caparbi, retti nella propria inutile schiettezza. Quanto sudore piglia essere uomini! Ma non quello della belle palestre, quello serve al massimo ad essere maschio. Essere uomini è ben altra cosa.
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Re: I RANDAGI
Caro Gherardo,
leggo il tuo post e resto congelato, parola dopo parola, immagine dopo immagine, mi ritrovo in quello che scrivi, sono le stesse immagini e gli stessi pensieri che hanno occupato gran parte anche della mia vita, immagini e pensieri che venivano certamente da esperienze molto diverse, ma i risultati erano sostanzialmente simili, poi sono passati tanti anni, un po’ di cose sono cambiate, ma quelle di fondo sono rimaste le stesse, certo, un bisogno d’amore, ma come dici tu, purché sia amore, e il difficile è proprio questo, ma non solo da parte di chi può darci quell’amore, ma anche da parte nostra. Il bisogno di un amore fisso, come lo chiami tu, può essere lacerante e lo è stato anche per me. Vedi, tu immagini nel lettore una vita migliore della tua, ma se ti avvicini veramente alle persone ti rendi conto che nelle differenze delle esperienze e dei linguaggi, le persone felici, ammesso che ci siano, sono una rara eccezione e la solitudine affettiva è una regola generale di cui si nega l’esistenza, che è comunque evidente. Però poi la solitudine si accetta e si comincia a vedere che non è del tutto negativa. I monaci del deserto la ricercavano perché ci trovavano un significato, delle potenzialità, soprattutto per la ricerca di se stessi. La solitudine non è vuota, è piena di tante piccole cose che si possono facilmente considerare banali se paragonate a quello che una storia d’amore (di vero amore) dovrebbe essere, o meglio a quello che pensiamo dovrebbe essere. Qualche volta l’amore si incontra, ma non è come ce lo siamo immaginato, è molto più elementare, spesso senza tenerezza, spesso dura poco ed è fortemente dissimmetrico, spesso non se ne capisce nemmeno il senso ma è vero amore e lo capisci dal fatto che riesci a coniugarlo con la solitudine, perché non sono due cose incompatibili. Sono schegge d’amore, sembrano cose inutili ma sono una luce che accompagna la solitudine, perché nella sostanza la solitudine sta nel fatto che siamo individui e che uscire da se stessi è enormemente difficile per chiunque.
leggo il tuo post e resto congelato, parola dopo parola, immagine dopo immagine, mi ritrovo in quello che scrivi, sono le stesse immagini e gli stessi pensieri che hanno occupato gran parte anche della mia vita, immagini e pensieri che venivano certamente da esperienze molto diverse, ma i risultati erano sostanzialmente simili, poi sono passati tanti anni, un po’ di cose sono cambiate, ma quelle di fondo sono rimaste le stesse, certo, un bisogno d’amore, ma come dici tu, purché sia amore, e il difficile è proprio questo, ma non solo da parte di chi può darci quell’amore, ma anche da parte nostra. Il bisogno di un amore fisso, come lo chiami tu, può essere lacerante e lo è stato anche per me. Vedi, tu immagini nel lettore una vita migliore della tua, ma se ti avvicini veramente alle persone ti rendi conto che nelle differenze delle esperienze e dei linguaggi, le persone felici, ammesso che ci siano, sono una rara eccezione e la solitudine affettiva è una regola generale di cui si nega l’esistenza, che è comunque evidente. Però poi la solitudine si accetta e si comincia a vedere che non è del tutto negativa. I monaci del deserto la ricercavano perché ci trovavano un significato, delle potenzialità, soprattutto per la ricerca di se stessi. La solitudine non è vuota, è piena di tante piccole cose che si possono facilmente considerare banali se paragonate a quello che una storia d’amore (di vero amore) dovrebbe essere, o meglio a quello che pensiamo dovrebbe essere. Qualche volta l’amore si incontra, ma non è come ce lo siamo immaginato, è molto più elementare, spesso senza tenerezza, spesso dura poco ed è fortemente dissimmetrico, spesso non se ne capisce nemmeno il senso ma è vero amore e lo capisci dal fatto che riesci a coniugarlo con la solitudine, perché non sono due cose incompatibili. Sono schegge d’amore, sembrano cose inutili ma sono una luce che accompagna la solitudine, perché nella sostanza la solitudine sta nel fatto che siamo individui e che uscire da se stessi è enormemente difficile per chiunque.
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I RANDAGI II
È possibile accettare la solitudine dell’esistenza, ma non un’esistenza di solitudine. Ho vent’anni Project. Sono pur sempre un ragazzo. Non mi va ancora di starmene seduto sotto ai Portici. E non si tratta qua della vita degli altri — certi abusi e certe violenze lasciano la vita orribilmente mutilata. Dovrei farmi forza perchè gli altri, o sono infelici come me, oppure lo sono di più? Non ti basta questo a darti un’immagine impietosa della vita? — Non mi va di parlare del riscatto che può esserci dietro a quel dolore, perché il tuo Pavese l’ha detto meglio prima di me: quel dolore non serve a niente. Essere considerati pure leoni africani, dimmi a che mi serve? — Gli uomini non potendo vivere, si accontentano di non poter morire. Guarda bene come per togliersi anche una spina dal dito, son tutti pronti a calarsi le braghe, a dare via il proprio corpo, la propria intimità in mano a qualcun altro. Lo stare troppo da soli ci rende tutti bestie.
I RANDAGI III
Accennammo un sirtaki. Uno ci scordammo di menzionare per quante erano le avversità intorno a noi. Eppure accadevano di sera certe piccolezze. Cose da niente. Che ci mettevano entrambi di buon umore. Anche stando a metà. Tu cantavi con dolce voce rodense. Io avevo una chitarra scordata tra le mani. Fummo un quarto d'ora a suonare. Tu qualcosa dicevi sul martirio e il mistero della vita. La tua. Disarmoniche erano le corde. Non meno dei nostri cuori imberbi. Il mio ti ascoltava col chianti che si faceva strada nella negra barba. È ironico, forse umano, che in mezzo ad un oceano di dolore si possa ridere. A farsi forza, ad animare giorni pieni di resa. Un tempo cercavo in te quello che ero incapace di darmi. Un'altra gentilezza, e ancora affetto, pietà, violenza.
I RANDAGI IV
È a vent’anni che la solitudine sembra sconfinata. E non si sa con che occhi guardarla. Perché agli altri sembra una cosa da niente: un ragazzo ha tutta la vita davanti — ma quale vita? Ci si chiede in ogni momento. E non c’è una risposta che dà pace. A fine giorno ci si trova ad accontentarsi di un branco di fesserie. Fesserie che ci si racconta, perché non ha avuto senso essere forti. Si perde fiducia anche nel vedersi vincitori. E non è il sudore a dare fastidio, ma l’inutile senso che provoca questa lotta per il niente. Non siamo forti come gli altri ci dipingono. Non siamo nient’altro che una pallida bozza di noi stessi. Essersi salvati non è servito a nulla.
I RANDAGI V
Dicono che il non aver avuto un padre sia dramma comune nel mondo di oggi. È l’inevitabile tramonto dell’Occidente, che per forza di cose, si trascina dietro anche le sue figure millenarie. Perché quando a notte ritorna la livida certezza di non avere alle spalle nessuna famiglia, ci si chiede come veder bene il futuro. Si tergiversa quasi a nascondere in un bicchiere di vino tutta quanta la propria esistenza. Ma a niente vale il bere. Neppure il sangiovese ristora l’animo, tanto che forse? varrebbe la pena appellarsi ad altri santi. Allora si stringono le palpebre in un moto di riluttanza e si cerca di immagine un futuro che valga la pena di vivere. Ma sapere che davanti si erge un’esistenza di sofferenza, di lotte per qualche mica di pane, in cui l’incertezza regna sovrana, non fa stare meglio. Beati quelli che nella vita non hanno conosciuto dolore, scriveva Sofocle, nell’immaginare Antigone, che ultima nella sua casa, si preparava a morire. Eppure — come ci si prepara a morire? La violenza sfregia la vita e se ne rimane con le gambe rotte, in piedi comunque, ma irrimediabilmente a pezzi. E riescono a toglierti la cosa più umana — il potersi raccontare.
I RANDAGI VI
Torna in te stesso, ragazzo. Provaci e non far nient’altro. Lascia le scorrettezza della vita per un attimo. C’è eccome una voglia di farneticare — arrivare a non dire niente, perché non si riesce a raccontare nessuna intimità. Quella che non trova spazio dentro di noi. Immonda. Non mi vedi? sono uomo anch’io, anch’io mi tradisco. Mi faccio tradire dalle dolci improvvise cose della vita. Siamo agguerriti, ma cedevoli alle lusinghe d’amore. Non sappiamo costruire nessuna cinta di mura intorno al petto. Là saremo disarmati. Quant’è più bello il mio cielo ora che Icaro ci è cascato dentro. Ma breve è il sogno della vita – breve il suo volo. E subito le cose ritornano ad essere altro da quello che si pensa. Subito ritornano ad essere mediocri. Il mio Icaro mi tormenta col suo sguardo da mare d’Abruzzo. Non posso far il Catone se mi guarda con quei occhi così– se nel mattino mi fa disperare di essere uomo, e poi arriva senza far rumore sul giorno a dirmi che verrà questa notte.
I RANDAGI VII
Avere troppo cuore — questo te l’hanno sempre detto. Ma anche il cuore deve essere messo da parte. Non si può continuare a vivere così: da una parte la vita è uno strascico di tutto quello che è successo prima, dall’altra invece è tutto ciò che può avvenire. Non sei l’unico che soffre. Questo ricordatelo con gentilezza. In te il dolore eccede ma, in qualche luogo devi rimettere la rabbia, affidare il dolore. Struggersi non porta a niente. Anche la sofferenza è un mare in cui bisogna imparare a navigare. Riprendimi, ti prego, la testa fra le mani, γιαγιά, ero in fondo più giovane, ma bimbo lo sono anche oggi — prendimi il volto tra le mani e dimmi di nuovo come può un ragazzo così bello soffrire così tanto. Deh come bella, o nonna, e come vera è la novella ancor. Proprio così.
Re: I RANDAGI VII
Devo dire che la nuova interfaccia grafica da qualche problema o almeno a me. Leggo solo adesso questi post e intuisco che abbia fatto di questo un tuo spazio dove rifugiarti con riflessioni e parole molto profonde che mi colpiscono.
Re: I RANDAGI VII
Ti ringrazio Alessio — per me è sempre un piacere, nonché un onore vedere che hai scritto sotto un mio post, anche solo per errore. Vedrò di informare Project che qualcosa non funziona nel forum. Non mi sembra giusto che tu debba leggere soltanto le mie modeste bischerate. Il forum qui è, non saprei dire, un modo di raggiungere me stesso e forse? qualcun altro, con delle emozioni e delle parole che altrimenti butterei via a fine giorno. Un abbraccio