SOLITUDINE DI UN GAY PRESUNTO PROBLEMATICO

Solitudine, emarginazione, discriminazione, omofobia...
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progettogayforum
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SOLITUDINE DI UN GAY PRESUNTO PROBLEMATICO

Messaggio da progettogayforum » lunedì 24 ottobre 2022, 10:56

Caro Project,
che vuol dire problematico? Perché ormai mi hanno appiccicato questa etichetta. Ho 26 anni, sono gay da sempre, in famiglia non lo sa nessuno, ovviamente non ho mai portato una ragazza a casa e allora per i miei genitori sono “problematico”, per loro problematico significa non normale, perché non faccio le cose che sarebbe ovvio aspettarsi da uno della mia età, e per fortuna l’etichetta di problematico non si identifica ancora con quella di gay, perché non ho mai portato a casa nemmeno un ragazzo. Ma sono problematico anche per i i miei “amici”, non a caso metto la parola tra virgolette, loro vanno in vacanza in gruppo con le loro ragazze e io non ci vado, prima di tutto perché sarei l’unico spaiato e poi perché sento molto netta la differenza tra me e loro, loro hanno una strada tracciata, socialmente accettata, sono stati spinti dall’onda sociale a giocare alla coppia da quando erano piccoli e adesso vanno avanti nella strada che hanno cominciato a seguire, per loro è tutto ovvio e “normale”, loro non sono problematici, sanno sempre quello che vogliono. Anche io so quello che voglio, solo che non lo posso avere, per costruire una vita mia dovrei andarmene a vivere lontano, loro pensano che sono “irrisolto”, indeciso, esitante, nevrotico, ecc. ecc., e poi non sopportano che io non vada mai appresso al loro gruppo, che non vada mai in discoteca, ai concerti o in comitiva a caccia di ragazze, perché loro, anche se hanno la ragazza ufficiale, continuano ad andare lo stesso a caccia di ragazze, non tutti ovviamente ma parecchi lo fanno, come una specie di gioco, in fondo si preparano a quel gioco che porteranno avanti anche dopo sposati. Ma io sono problematico anche per i ragazzi gay. Ne ho conosciuti solo un paio, erano anche bei ragazzi e mi tentavano parecchio, poi, parlandoci mi sono cadute le braccia, pure loro erano bene incasellati in una marea di stereotipi: andare il sabato nei locali gay, passare decine di ore nelle chat, vestire alla moda, ecc. ecc.. Hanno capito che mi facevo delle domande anche su di loro e che non prendevo per oro colato tutto quello che mi dicevano e allora ero “problematico”. Una volta (una volta sola!) sono andato da una psicologa, ma è durata non più di un mese, lei spiegava tutto, aveva capito tutto, collegava questo con quello e tirava le somme in quattro e quattr’otto, io mi sono detto: No! Alla larga da chi ha capito tutto! Quando le ho detto che non me la sentivo di andare avanti, anche lei mi ha considerato “problematico”. Sarò pure problematico ma mi sono laureato e ho trovato lavoro e, almeno da questo punto di vista, un po’ di sicurezza ce l’ho. L’ambiente di lavoro per me è un mondo nuovo che mi costringe a lavorare in gruppo, cosa che non sopporto. Si dovrebbe lavorare in modo coordinato, io faccio la mia parte, gli altri dovrebbero fare la loro, ma fanno tutt’altro, perdono tempo, flirtano con le ragazze del gruppo (e le ragazze coi ragazzi), ovviamente non c’è ombra di gay da nessuna parte e allora io mi chiudo nella mia stanza perché per fortuna ho una stanza mia, anche se veramente mini, e lavoro per conto mio, facendo anche il lavoro che dovrebbero fare loro. All’inizio, alla pausa mensa andavamo insieme a pranzo, ma la cosa era talmente rituale e grottesca (falso cameratismo) che ho cominciato a portarmi un panino da casa e, ovviamente questo significa che sono problematico. Uno dei nostri capi ha notato che da me gli arrivavano solo lavori finiti e funzionanti e ogni tanto mi chiama per affidarmi qualche lavoro più delicato. Ovviamente, per i miei colleghi, questo fatto significa che mi sono arruffianato il capo, per il capo significa solo che ha trovato il pollo che fa il doppio del lavoro perché non perde tempo a fare pettegolezzi. Al lavoro c’è gente che crede di essere Dio e di avere un’esperienza che permette di risolvere qualsiasi problema, io li faccio parlare senza rispondere e anche questo vuol dire che sono problematico. Frequento sempre meno la casa dei miei genitori, ormai il rapporto è di pura forma. Mi mancano delle amicizie vere e questo mi fa stare male. Non vado in giro per chat e ovviamente non conosco nessuno di cui io possa dire seriamente che è gay, e poi, anche se qualcuno lo fosse, per costruire un minimo di rapporto ci vuole ben altro. Mi sento solo? Sì! Vorrei avere un amico vero, magari per vederci qualche volta, non cerco un fidanzato ma un confronto onesto di esperienze, ma non c’è niente di simile all’orizzonte. Escludendo per ovvie ragioni anche l’ambiente di lavoro ci resta bel poco, tanto più che io vivo in un piccolo comune del Nord con mentalità molto provinciale in cui i gay si guardano bene dall’esporsi in pubblico, proprio come faccio io, così si sta più tranquilli, certo, ma si resta soli. Dovrei andare via da qui, ma come faccio? Ho trovato lavoro solo sei mesi fa e trovarne un altro da altre parti, con l’aria che tira, tra recessione e disoccupazione dilagante è veramente come cercare di vincere un terno al lotto. Project, leggendo altre mail che hai pubblicato ho notato che tanti ragazzi ti parlano del loro ragazzo o di quello che loro pensano o vorrebbero che fosse il loro ragazzo, io non posso fare niente di simile perché non ho un ragazzo, non so se ne avrò mai uno e quindi la mia mail sarà breve. Vorrei tanto avere una speranza concreta, quando leggo progetto mi piace provare a identificarmi con questo o con quello ma poi mi accorgo che la mia vita è un’altra cosa, sarà perché sono problematico o più probabilmente perché sono solo, spero soltanto che qualcosa cambi e che io non debba passare la vita qui, in attesa di un principe azzurro che non arriverà mai.

Alyosha
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Re: SOLITUDINE DI UN GAY PRESUNTO PROBLEMATICO

Messaggio da Alyosha » lunedì 24 ottobre 2022, 22:24

Che bella presentazione è stato un piacere leggerti. Nonostante le disavventure che racconti legate sopratutto ad una difficoltà di socializzazione mi arriva un certo equilibrio, quasi uno stare in disparte a guardare. Più che problematico parlerei più di "ritirato", nel senso di appartato e molto diffidente. C'è una lettura un po' ingenerosa dei gruppi che invece sono una buona valvola di sfogo e anche della complicità che si crea al loro interno, mentre capisco tutte le difficoltà di entrarvi a farvi parte. Quelli come noi per quanto arrivino da storie diverse e con caratteristiche diverse condividono quasi tutti la difficoltà ad interagire con gli altri ragazzi, perché hanno logiche, aspettative e interessi completamente diversi esattamente come scrivi tu.
Ci sono ambienti privilegiati da questo punto di vista e per quanto poi la pagai cara come scelta ricordo gli anni di filosofia come i più belli della mia vita, proprio perché lì incontrai tanta altra gente come me. Non intendo gay, ma "diversa" nel senso di più profonda, meno scontata per così dire. Seguirono gli anni di volontariato, anche lì con gente "strana" e poi con il lavoro che mi sono scelto molto di relazione e di cura (operatore sanitario) incontro la gente in un luogo "strano" nel senso di privilegiato che è la sofferenza. Probabilmente "problematico" lo sono stato anche io sempre e mi sono scelto luoghi "problematici" che mi somigliassero. Questo fermo restando le dovute differenze ovviamente, perché noto in te uno "stile" completamente diverso, un po' più pacato e forse anche meno aggressivo, ma è solo una sensazione dalla prima lettura.
Posso solo dire che un mese di terapia è veramente poco. A prescindere dall'approccio del terapeuta servono almeno 6 mesi -2 anni anche a seconda della scuola cui appartengono (di solito le cognitivo-comportamentali sono terapie più brevi). Nella prima fase si costruisce l'alleanza terapeutica fondamentale per il proseguo della terapia.
Occorre anche molto stare attenti e informarsi bene sulla persone, come in tutte le professioni c'è gente in gamba e gente che avrebbe dovuto fare tutt'altro. C'è infine il fatto che un determinato approccio potrebbe non essere adatto al paziente e il professionista dovrebbe avere la correttezza di rimandarlo ad un'altro professioni. Questo purtroppo non avviene quasi mai.
La domanda che però mi pongo e che volevo lasciarti a considerazione è la seguente: tutti ti vedono "problematico", ma tu come ti vedi? Stai bene con te stesso a parte il senso di solitudine?

guy21
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Re: SOLITUDINE DI UN GAY PRESUNTO PROBLEMATICO

Messaggio da guy21 » sabato 10 dicembre 2022, 19:42

Ciao caro anonimo,

purtroppo non so il tuo nome quindi ti chiamero' cosi per il momento, purtroppo quando non fai quello che ci si aspetta da te o dalle convenzioni sociali, dal sistema ecc.. vieni visto come "problematico".

Perchè appena una persona si comporta diversamente da quello che è l'ordinario diventa problematica, diventa un problema, per chi poi?

Penso che questo non sia colpa nostra, ma in parte della società in cui viviamo, che non permette e non coltiva le differenze tra individui nella lorlo originalità e migliore versione di se stessi.

Capisco bene la tua situazione perchè ci sono passato pure io, il fatto di dover mentire agli amici, di omologarsi, di uscire con le coppie etero oppure non uscire per sentirsi a disagio o dover motivare il perchè si fosse single ecc..

Anche il discorso degli amici veri, guarda caschi proprio a pennello, è una "battaglia" che porto avanti da anni, e ancora non finisce. Regna tanta superficialità al giorno d'oggi, tutti attaccati a questi maledetti social, dipendenti risucchiati, e le interazioni sociali diminuiscono drasticamente.

Le persone vere e sincere sono piu rare che mai.

Vorrei davvero darti preziosi consigli ma purtroppo non credo di essere la persona giusta, gli altri miei colleghi del forum :lol: credo e spero sapranno darti spunti interessanti su cui riflettere.

Ti auguro di trovare delle persone valide e che sappiano apprezzarti davvero.

P.S.: e spero di trovarle anche io un giorno forse.

A presto dall'amichevole guy di quartiere :D

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