GAY E STRESS DI COPPIA

Coppie gay, difficoltà, prospettive, significato della vita di coppia dei gay
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GAY E STRESS DI COPPIA

Messaggio da progettogayforum » giovedì 14 ottobre 2021, 19:11

Prendo lo spunto da alcune mail che ho ricevuto di recente per trattare un argomento che pur non essendo esclusivo del mondo gay, assume comunque per i gay caratteristiche molto peculiari, parlo dello “stress di coppia”, con questo termine però non intendo riferirmi allo stress indotto sui partner dall’ambiente esterno, cioè dai rapporti della coppia gay con l’esterno, ma specificamente allo stress che si genera all’interno della coppia tra i due partner. Naturalmente non mi riferisco solo alle coppie strutturate a livello legale o a quelle che hanno almeno una oggettiva stabilità consolidata, ma anche, se non soprattutto, ai rapporti di coppia allo stato nascente, perché nelle coppie consolidate si sono già creati dei meccanismi volti a limitare lo stress e questi meccanismi hanno dato buona prova di sé.

Partiamo dunque da un modello bidimensionale di coppia rappresentabile tramite due sfere unite tra loro da un vincolo, il vincolo sia rappresentato da un filo. Le ipotesi possibili sulla natura del filo sono sostanzialmente due:

1) che il filo sia rigido e quindi tenga comunque stabilmente le due sfere alla medesima distanza,

2) che il filo sia elastico ossia che sia allungabile o accorciabile e che tenda dopo l’allungamento o l’accorciamento a riportare le sfere nella posizione di equilibrio.

Esaminiamo il caso 1): Vincolo rigido. Se si cerca di allontanare le due sfere il filo è soggetto a una tensione, ma le due sfere restano nella medesima posizione, almeno finché la tensione del filo non arriva al limite di rottura, quando ciò accade il vincolo si rompe in via definitiva e le due sfere risultano del tutto slegate. Anche se in un istante successivo vengono meno del tutto le forze applicate alle due sfere (che hanno provocato la rottura del filo) le due sfere resteranno comunque slegate.

Esaminiamo il caso 2): Vincolo elastico. Se si cerca di allontanare le due sfere il filo elastico si allunga, le sfere si allontanano, ma restano comunque soggette ad una forza elastica di richiamo che, al cessare delle forze che avevano separato le due sfere, tenderà a riportarle nella posizione originaria, il vincolo, cioè non si spezza mai definitivamente e, al cessare delle forze che tendevano a separare le due sfere, tende a ricreare le condizioni di partenza.

Nella realtà fisica non si trova applicato rigorosamente nessuno di questi due modelli teorici, tutti i legami sono parzialmente elastici, nel senso che anche i vincoli più rigidi hanno un minimo di elasticità e che anche i vincoli più elastici hanno un limite di rottura. Ciò che avviene nel mondo fisico avviene in qualche modo anche nei rapporti di coppia. Ogni rapporto di coppia ha una relativa elasticità, nel senso che si modifica in presenza di influenze esterne e cerca di riportare la situazione allo stato di equilibrio di partenza al termine di quelle influenze. La vita di coppia ha in sé in ogni caso una certa elasticità e ha un suo limite di rottura che dipendono da mille fattori legati alle motivazioni dei rapporto, alla sua durata, al tipo di vincolo, ecc. ecc., come l’elasticità di un filo dipende dal materiale di cui è costituito il filo, dalla temperatura ecc. ecc.. Ma in entrambi i casi, sia quello della vita di coppia che quello del filo, la tensione di rottura dipende “anche” dalla storia del vincolo, cioè dallo stress che esso ha subito nel tempo. Un filo metallico che in precedenza non è stato mai assoggettato a forte tensione resisterà meglio di un filo che ha subito un forte stress, che cioè è stato sottoposto molte volte a forti tensioni. In buona sostanza la storia del vincolo influisce in modo sostanziale sulla sua elasticità e sul limite di rottura. Questa frase appartiene al linguaggio della fisica ma rappresenta bene anche quello che accade in una relazione di coppia.

Succede spesso che uno dei partner di una coppia gay reclami una maggiore libertà, ossia una possibilità di allontanarsi dalla precedente posizione di equilibrio, ma, sia ben chiaro mantenere una libertà totale vuol dire non avere alcun legame, il che significa che la libertà totale è incompatibile con qualsiasi forma di legame di coppia.
Come si comporta il partner che tende a reclamare una maggiore libertà? Si comporta esattamente come un cane al guinzaglio, che tende a “tirare” per verificare fino a che punto il guinzaglio gli consente libertà di movimento. Il procedimento di verifica dell’elasticità del vincolo è progressivo: si parte col chiedere (tirare) poco, se si avverte che il vincolo è cedevole, si chiede sempre di più e si prosegue su questa strada trascurando il fatto che ogni piccola “vittoria” che si ottiene sul partner, per il partner è in realtà una piccola sconfitta, un cedere, e il cedere terreno è un segno del non essere alla pari. Questi piccoli cedimenti non appaiono come tali e il partner che “tira” per mettere l’altro alla prova non si accorge che sta stressando il vincolo di coppia, che è sì elastico, ma ha anch’esso un limite di rottura.

Accade molto spesso che in una coppia le richieste siano insistenti e unilaterali; in genere chi le avanza non tiene realmente conto delle reazioni e delle motivazioni dell’altro. Che l’insistenza nel mettere l’altro costantemente a prova di resistenza con richieste reiterate e progressive sottoponga la relazione ad una forma di stress è un fatto evidente. Si usa in questo caso un’espressione che ha anche un’analogia nel mondo fisico, si dici cioè che nella relazione c’è tensione. La ripetitività di un comportamento molesto ha un’importanza anche nei rapporti con la giustizia. Diverso è il comportamento del giudice nel confronti di un imputato incensurato che incorre per la prima volta in un reato da quello che lo stesso giudice assume nei confronti del recidivo (la recidiva è un’aggravante) o del delinquente abituale. “Tirare la corda” è assai meno stressante quando la si tira a turno e c’è da entrambe le parti la tendenza a cedere e a non arroccarsi su posizioni intransigenti. Non è accettabile invece richiedere al proprio partner quello che non si è disposti a concedergli. Il principio di parità in una relazione gay (e non solo) è fondamentale e lo stress è una forzatura di questo principio.

Perché uno dei due partner comincia a “tirare la corda”? In genere non si tratta di un vero bisogno di libertà al quale si potrebbe dare rapida e definitiva soddisfazione tramite una deliberata rottura del legame. In genere il “tirare la corda” risponde piuttosto ad un’esigenza di controllo del partner, che, dal punto di vista di chi “tira la corda” si confonde con un’esigenza affettiva. Va sottolineato che chi “tira la corda” non ha l’intenzione cosciente di creare stress, vede i suoi interventi come una preoccupazione bonaria verso il partner tendente a scioglierlo dai suoi complessi e a metterlo in una situazione di maggiore comunicatività e immediatezza. Il nodo della questione sta nel fatto che “chi tira la corda” non ha un vero dialogo col partner o meglio identifica l’idea di dialogo con il fatto che il partner lo sta ad ascoltare e tende a cedere facilmente alle sue richieste, ma questo modo di concepire il dialogo trascura però la dimensione di reciprocità che imporrebbe anche a chi “tira la corda” di ascoltare e di cercare di capire il partner. In queste situazioni il rapporto è dissimmetrico e contiene in nuce una implicita dinamica autoreferenziale di tipo servo-padrone.

Colpevolizzare chi “tira la corda” è fin troppo facile e proprio per questo è spesso semplicistico e fuorviante. La risposta più semplice sembra a prima vista ovvia e soddisfacente, ma bisognerebbe tenere conto del fatto che l’autoreferenzialità nasce spesso dalla indisponibilità del partner ad un dialogo veramente aperto, questa indisponibilità può essere più o meno motivata e ogni valutazione andrebbe condotta su situazioni reali e fatti concreti. Va tenuto presente che in molti casi è o appare molto più facile dimostrarsi acquiescenti alle richieste del partner che cercare di costruire un dialogo più diretto con lui e si preferisce quindi dimostrarsi disponibili e disposti a cedere. Resta comunque il fatto che i problemi di coppia non si risolvono certo attribuendone la colpa all’uno o all’altro. Gli errori di comunicazione sono spesso inevitabili e derivano dal fatto che i due partner usano codici comunicativi diversi, che attribuiscono alle medesime parole e ai medesimi comportamenti significati anche sostanzialmente diversi. Per evitare fenomeni di autoreferenzialità i partner dovrebbero conoscersi a fondo, ma spesso si tende a costruire una coppia anche con un partner che non si conosce abbastanza e i rischi, in questi casi, sono considerevoli ed emergono in genere dopo tempi piuttosto lunghi.

Che fare quando il proprio partner comincia a “tirare la corda”? La cosa più ovvia è evitare i linguaggi ultimativi, gli aut aut, i rinvii sine die, le opposizioni muro contro muro, gli atteggiamenti paternalistici e quelli vittimistici che possono peggiorare la situazione. Rispondere sempre sì a chi tira la corda manifesta debolezza e incoraggia ad alzare la posta. Dire sempre no manifesta una chiusura pregiudiziale. Appare più equilibrato un atteggiamento dialogante con alcune prese di posizione chiare: “Se ne parla, ma il mio punto di vista è questo”. Bisogna tenere presente che quando si arriva al “tirare la corda” la coppia è già sostanzialmente in crisi, perché il livello di dialogo è basso e comunque le incomprensioni condizionano anche quel po’ di dialogo che c’è. Questo significa che non è detto a priori che si riesca a recuperare in modo sostanziale il rapporto di coppia, cioè che si riesca a costruire un dialogo capace di superare le incomprensioni. Un sintomo della gravità della crisi è costituito dall’attribuzione delle “colpe” all’altro. Se si cerca un colpevole vuol dire che si ritiene che ci sia stato un crimine, cioè un fatto capace di minare le basi del rapporto e chi accusa, in genere, non è disposto a perdonare, a meno che le sue ragioni non siano totalmente accettate, eventualità decisamente irrealistica.

La ricerca delle “colpe” può fermarsi all’immediato, cioè alla ricerca delle colpe relative ad un fatto specifico, ma talvolta può arrivare fino al “presentare il conto” al partner, cioè ad andare alla ricerca di tutte le sue colpe che hanno minato o condizionato la relazione. La presentazione del conto può avvenire anche in forma sintetica, cioè elevando il comportamento colposo a regola generale di comportamento del partner: “Quando io ti chiedo una cosa tu non mi stai MAI a sentire!” oppure: “Cerchi SEMPRE giustificazioni!” Questi modi di esprimersi sono sintomi di un rapporto di coppia già molto stressato.

La risoluzione di un rapporto che non funziona non è che una ipotesi tra altre ipotesi, che non è di per sé né buona né cattiva, può anzi rivelarsi la soluzione migliore, se lo stress dovuto alla relazione è veramente molto forte. In questo caso la decisione va assunta in modo chiaro e senza ripensamenti. Non c’è niente di peggio che trascinare per mesi o anni delle relazioni che sono ormai delle vere e proprie trappole dalle quali non ci si è affrettati ad uscire al momento giusto. Se in una coppia non c’è equilibrio e non c’è dialogo di fatto non c’è affettività e la tendenza a creare rapporti di dominio (servo-padrone) si fa più concreta. Aggiungo che se in una coppia non c’è equilibrio e non c’è dialogo “oggi”, ha ben poco senso pensare che equilibrio e dialogo ci possano essere “domani”. Un tempo si diceva: “il lupo perde il pelo ma non il vizio!” Chi non ti ha preso sul serio fino ad oggi non lo farà nemmeno domani, le valutazioni si fanno sui fatti e sui comportamenti reali e non sulle possibilità teoriche o sui cambiamenti ipotetici. Chi non si è dimostrato adatto ad un rapporto di coppia con me potrebbe benissimo costruire un eccellente rapporto di coppia con un altro, ma per me non va bene e devo trarne tutte le conclusioni. Un rapporto è in crisi quando è in crisi il principio di parità, quando c’è chi comanda e chi ubbidisce in silenzio, chi decide e chi non può che accettare, chi ha il diritto di dire sempre l’ultima parola e chi deve rimanere sempre zitto. Quando queste forme di squilibrio si manifestano la relazione non è più recuperabile.

Nell’ambito di una relazione, un cambiamento repentino di atteggiamento in genere non è una cosa positiva. Se uno dei due partner ha mostrato sempre un atteggiamento totalmente remissivo non sarà certamente credibile quando comincerà ad assumere un atteggiamento indipendente o addirittura rivendicativo. In modo analogo il partner che si è presentato come forte e dominante non sarà credibile quando vestirà i panni di quello conciliante e buonista. Chi cambia atteggiamento in modo imprevisto manifesta o sembra manifestare una tendenza al doppio gioco e all’opportunismo che in genere viene giudicata male dal partner.

La caratteristica principale delle situazioni stressanti è la ripetitività senza evoluzione, cioè la “situazione di stallo” dalla quale non si esce nonostante si cerchi di uscirne. Una situazione di stallo non è di per sé statica, c’è un movimento, ma è un movimento obbligato, un circolo vizioso inutilmente ripetitivo: le situazioni si ripetono, i comportamenti si ripetono e i due partner restano comunque sulle medesime posizioni ed anzi le consolidano e le rafforzano, ad ogni ciclo si ripetono le medesime rimostranze e le medesime richieste e la conclusione del ciclo dimostra che all’interno della coppia la tensione è sempre maggiore. In questi casi affiora o comincia ad affiorare nella mente di entrambi i partner l’idea di abbandonare il rapporto, che però non è mai dichiarata, perché il dialogo non è più un dialogo diretto. Questa idea, al suo primo apparire, si presenta solo come lontana ipotesi frutto di una reazione a scatto all’episodio singolo e in genere viene facilmente messa da parte. Chi “tira la corda” si accontenta anche di un cedimento parziale da parte del partner o addirittura di una semplice dichiarazione verbale di buona volontà, chi cede si rende conto di cedere e cerca di cedere il meno possibile, nella speranza che qualcosa possa concretamente cambiare, è la tecnica del “quieto vivere” o della rimozione del problema. Ci si accontenta di una “tregua momentanea” e la si confonde con la pace definitiva. Ma le tregue sono destinate a rompersi alla minima scaramuccia e così accade anche nella vita di coppia, e il ciclo si ripete in una situazione di maggiore stress.

Dopo aver delineato il fenomeno “stress di coppia” ci si chiede quali siano le strade per uscirne, perché uscirne certamente non è facile. Può sembrare un paradosso, ma è molto più facile uscire da una relazione superficiale che da una relazione stressante e ansiogena, perché spesso, la relazione stressante e ansiogena è vissuta in modo molto coinvolgente, nel bene e nel male, almeno da uno dei due partner e spesso da entrambi. Intendo dire che una relazione ansiogena e stressante, se dura nel tempo, non è certamente una banalità e archiviarla è difficile e non è neppure detto che sia la soluzione migliore. Lo stress è un sintomo del malessere, non ne è la causa e una vera terapia deve mirare ad eliminare le cause più che gli effetti o le manifestazioni del malessere e qui il discorso si complica perché non tutte le coppie sono realmente tali, cioè sono nuclei di vera aggregazione affettiva e non è raro il caso che si arrivi a creare una coppia e addirittura una convivenza per motivi di opportunità o di utilità, spesso neppure percepiti come tali e coperti da motivazioni molto astratte e sostanzialmente inconsistenti. In questi casi è oggettivamente molto difficile per gli stessi partner andare all’origine del disagio, perché quella origine è stata rimossa spesso inconsciamente.

Un esempio classico di pseudo-coppia è la “coppia strumentale” ossia la coppia che consciamente o meno è stata creata per un fine che non la comunione affettiva con un’altra persona, un esempio ne sono le coppie finalizzate al solo sesso, o le coppie create per ragioni di opportunità professionale, o per rendere possibile o favorire una convivenza. Qui il legame sostanziale non è affettivo ma utilitaristico, quando il fine è raggiunto o l’utilità viene meno, viene meno automaticamente anche il legame, si tratta cioè di legami intrinsecamente fragili (assai poco elastici).

Quando una coppia non è una coppia strumentale ma esiste un qualche legame affettivo tra i partner, diventa possibile superare anche le situazioni di stress, qui l’elasticità del rapporto assume un ruolo importante perché la rimozione delle cause del disagio libera la forza elastica del rapporto e ne consente la restaurazione in condizioni soddisfacenti per entrambi i partner. Qui si può individuare un criterio distintivo tra le coppie strumentali e le vere coppie, nelle coppie strumentali, al di là del raggiungimento del fine o della utilità, manca un interesse vero al mantenimento del rapporto di coppia e le posizioni assunte dai partner sono rigide perché la relazione è diventata ormai oggettivamente inutile, nelle vere coppie la finalità è proprio il mantenimento della relazione di coppia, che è considerata positiva in sé e quindi va comunque difesa. In questo caso le posizioni, man mano che ci si avvicina al limite di rottura diventano via via meno rigide da entrambe le parti perché il mantenimento del rapporto è una condizione favorevole per entrambi i partner. Usando un’espressione che non va esente da possibili critiche, si potrebbe dire che ci si cura del bene dell’altro quando il bene dell’altro coincide almeno parzialmente col nostro e questa è la condizione tipica della vera vita di coppia. L’altruismo, in questo senso, è comunque una forma di egoismo. Nel mondo animale dei licheni, la vita a due (alga e fungo) ha vincoli così stretti (simbiosi) che la morte di uno dei due organismi comporta la morte dell’altro. In quel caso, per il fungo il benessere dell’alga equivale al 100% al proprio benessere. Nel caso delle coppie umane le cose sono certamente molto più sfumate, ma dire “io ti voglio bene” significa “io realizzo il mio bene tramite il tuo bene”. Tutto questo ragionamento non distrugge il concetto di altruismo ma lo concretizza.

Ciò che emerge da quanto precede è che lo stress di coppia è l’espressione di un problema di fondo della coppia stessa, che non si può risolvere con la buona volontà di uno solo dei due partner. I problemi di coppia non sono problemi individuali. In buona sostanza si può cercare di favorire il dialogo, se ce ne sono le condizioni, ossia se l’altro partner è realmente disponibile, si può cercare di rimuovere gli ostacoli che dipendono da noi, ma per la risoluzione dei problemi di coppia è necessario che ci sia una volontà convergente di entrambi i partner. Si può riassumere il concetto con un’analogia di tipo matematico: definiamo l’interesse alla creazione della coppia “AB” da parte di A come “a” e in modo analogo l’interesse alla creazione della stessa coppia da parte di B come “b”. La forza del legame di coppia non è rappresentata dalla somma “a + b” ma dal prodotto “a x b”, questo significa che quando “b = 0”, comunque grande sia “a” la forza del legame è nulla. L’esempio chiarisce bene perché l’impegno unilaterale sia comunque insufficiente a risolvere un problema di coppia.

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