CANTO DEL CIGNO DI UNA RELAZIONE GAY

Coppie gay, difficoltà, prospettive, significato della vita di coppia dei gay
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progettogayforum
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CANTO DEL CIGNO DI UNA RELAZIONE GAY

Messaggio da progettogayforum » mercoledì 4 maggio 2022, 21:27

Caro Project,
ci sono delle giornate in cui hai l’impressione di aver puntato sulle cose giuste e vedi che piano piano i problemi si risolvono, le situazioni si stabilizzano e i rapporti personali veri non si smentiscono, o almeno così sembra. Nella mia vita ho avuto un solo compagno, un solo amico vero, un solo partner, lui non ha avuto solo me, ma io nel suo mondo vero ci sono sempre stato e non superficialmente, considero questa una certezza, ma ovviamente in questo mondo le certezze sono comunque ipotesi. Ho avuto ragazzi che avrebbero voluto stare con me ma ho preferito stare col mio compagno, magari in tono minore, anche quando era difficile, perché percepivo che tra noi c’era qualcosa di unico che non sarebbe venuto meno, o almeno pensavo che non sarebbe venuto meno. Lui non era un ragazzo, ma era il ragazzo che mi aveva voluto, che mi aveva cercato, che si era fidato di me, che mi aveva preso sul serio. L’ho visto piangere tante volte, l’ho visto passare momenti di sconforto profondo ma ho creduto in lui perché non mi ha mai imbrogliato e perché è profondamente onesto, questo, che sembrerà forse poco, mi sento di dirlo convintamente. Adesso non siamo più ragazzi né lui né io, e lo vedo, passo dopo passo, conquistare tutto quello che prima gli sembrava lontanissimo e quasi un miraggio. Dire che gli voglio bene è riduttivo e in qualche modo improprio. Lui è libero, non è vincolato a me ma sa che gli voglio bene e mi tratta con affetto, con rispetto, come solo lui sa fare, anche questo potrebbe sembrare poco ma penso che sia vero. C’è una cosa, una sola cosa che non mi permette di dirmi veramente soddisfatto, almeno nei limiti del possibile, e che mi mette in crisi: quando guardo il mio compagno negli occhi, ci leggo tanta malinconia, anche quando stiamo insieme, anche nei momenti in cui il sesso dovrebbe portarsi via le malinconie. Quelle malinconie ci sono e ci restano nonostante un insieme di cose che vanno bene o almeno sembrano andare bene. Non so se ci sarà mai qualcuno capace di farlo stare bene veramente, capace cioè di sciogliere quel velo di malinconia che non se ne va. Quando lo guardo negli occhi vorrei tanto che quella malinconia non ci fosse ma invece c’è e allora mi sento inutile, è come se recitassi una parte che non arriva comunque al cuore del problema. In certi momenti temo di essere invadente, di pretendere troppo, o almeno di voler capire troppo, cerco di ridurlo impropriamente alle mie categorie, vedo me stesso come dal di fuori e mi sento distaccato perché quel velo di malinconia non si squarcia e dietro quel velo si costruiscono da entrambe le parti degli atteggiamenti più rigidi, più formali, più banali, che sento come una svalutazione del significato di quello che pure c’è stato, e forse in buona parte c’è ancora, in fondo è un modo di rinunciare a capirsi veramente. Certe volte penso che altre persone potrebbero e forse possono fare quello che io non sono riuscito a fare e spero che questo accada realmente. In quel caso non esiterei a mettermi del tutto da parte se lui fosse orientato in questa direzione, non sarebbe in fondo una rinuncia perché significherebbe che qualcuno è riuscito a farlo felice mentre io, con tutti i miei slanci, non ci sono riuscito, cioè non sono arrivato a capirlo veramente. In certi casi, ritirarsi in buon ordine è un dovere morale più che un segno di affetto, non è certo a lui che posso imputare il mio fallimento, lo rispetto, gli voglio bene, ma so e l’ho sempre saputo che lui ha un suo mondo e che quel mondo potrebbe veramente farlo stare bene. Di quel mondo non so praticamente nulla, tutto sommato credo che sia un mondo serio, probabilmente complicato, se non addirittura contorto, ma certamente non superficiale. Non mi sento in conflitto con quel mondo perché finirà per portarmi via il mio compagno, in fondo ho sempre pensato che sarebbe accaduto. Io devo portare a termine la mia parte, per piccola che sia, perché, nonostante i dubbi e le insicurezze, desidero lasciare almeno un ricordo non dico positivo, ma almeno non negativo, o meglio desidero soltanto uscire in punta di piedi senza fare danni, semplicemente svanire, desidero chiudere senza strappi una lunga parentesi della vita perché ne resti un ricordo non dico buono, ma almeno non negativo. Bisogna chiudere la sinfonia con un diminuendo lento, tanto impercettibile da sembrare naturale. Penso che questo sarà il più bel regalo che potrò fargli. La ragione di questo lento addio non è in potere di nessuno. Tutto ha un senso relativo, anche le cose migliori. L’incomunicabilità è una caratteristica della vita umana che non si supera, la pretesa di capire un’altra persona è appunto una pretesa che alla fine si manifesta per quello che è. È come se ci fosse un destino, come se tutto fosse già scritto e ineluttabile, puoi vivere la tua parte in modo più o meno partecipato, ma non la puoi cambiare. I fatti hanno una loro logica, al di là delle persone. Amare è solo cogliere l’attimo con la consapevolezza che è effimero. Amare un ragazzo significa capire che puoi amarlo solo se accetti che non ti cambierà la vita, che farà la sua strada, che non lo capirai mai del tutto e che sarà un altro centro del mondo affine al tuo solo parzialmente. Ogni amore è a termine e bisogna capirlo prima per accettare consapevolmente il corso degli eventi. Gli amori senza illusioni sono sempre in attesa della conclusione che potrebbe non arrivare mai, ma vanno vissuti con la consapevolezza di una conclusione imminente.

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