RELAZIONI GAY E IMMEDIATEZZA

Coppie gay, difficoltà, prospettive, significato della vita di coppia dei gay
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RELAZIONI GAY E IMMEDIATEZZA

Messaggio da progettogayforum » venerdì 5 maggio 2023, 1:51

Questo post mira a sottolineare il ruolo essenziale che la spontaneità e l’immediatezza hanno nelle relazioni omosessuali attraverso un esame degli stereotipi comportamentali più diffusi e delle nefaste conseguenze della interiorizzazione di quei modelli di comportamento.
Parto da un’osservazione, in fondo banale: le relazioni affettive, se sono realmente tali, hanno una loro logica interna, che è spesso incomprensibile, se la si giudica con criteri astratti, e che vale soltanto in quella particolare situazione. Gli “schemi di relazione” non sono una caratteristica della relazione in sé ma della sua dimensione sociale. Alcune relazioni, come il matrimonio eterosessuale, hanno una dimensione sociale molto forte e strutturata, particolarmente rafforzata dal fatto che la relazione è vista non come un fatto essenzialmente privato, ma come un fatto di rilevanza giuridica dal quale dipendono diritti e obblighi, perché ci sono i figli, ci sono gli obblighi reciproci di assistenza e ci sono diritti di successione legati alla formalizzazione della relazione affettiva che sta, o che dovrebbe stare, alla base del matrimonio. La protezione legale del matrimonio è un tentativo di porre delle condizioni e delle regole ad una relazione che è o dovrebbe essere essenzialmente affettiva. Il matrimonio celebrato in Chiesa o nel salone delle feste del Comune, alla presenza di amici e parenti, considerato spesso come un momento per manifestare all’esterno il rango sociale degli sposi, non fa che sottolineare la rilevanza sociale di un rapporto affettivo o presunto tale.
Nel mondo gay le cose sono molto diverse, non esiste nulla di sovrapponibile al matrimonio eterosessuale, le unioni civili possono essere sciolte anche per decisione di uno solo dei partner e lo scioglimento non richiede particolari formalità. Se per un verso questo fatto sottolinea la diversa condizione giuridica delle coppie omosessuali, cosa che può apparire in qualche modo come una disparità di trattamento, per un altro verso, garantisce alle coppie omosessuali una condizione molto meno vincolata, il loro rapporto è visto come essenzialmente privato e i riti sociali, come il pranzo di nozze, che accompagnano il matrimonio eterosessuale, ammesso che trovino degli analoghi nelle relazioni omosessuali, trovano comunque analoghi di dimensione quasi sempre molto più ridotta e privata. Tra l’altro gli omosessuali che si sono uniti con una unione civile sono una ristretta minoranza, e questo significa che gli stessi omosessuali, in genere, rifuggono da qualsiasi formalizzazione legale del loro rapporto.
Tuttavia, devo osservare che in anni recenti le cose stanno cambiando, non saprei dire se in meglio o in peggio, e il risultati si potranno vedere solo tra qualche anno. Intenet, e in particolare i social, hanno consentito a tutti di caricare testi, foto e video di momenti più o meno importanti della loro vita e piano piano il numero di contenuti che riguarda relazioni omosessuali aumenta e le reazioni dell’opinione pubblica sono sostanzialmente di indifferenza e qualche volta di approvazione. In buona sostanza Internet tende a livellare le differenze e in questo modo le distinzioni legali tra matrimonio e unione civile, davanti al pubblico, tendono a sfumare. Questo significa che, alla lunga, i comportamenti delle coppie omosessuali tenderanno ad essere sovrapponibili a quelli delle coppie eterosessuali e le relazioni omosessuali assumeranno progressivamente sempre più peso sociale e saranno quindi sempre più socialmente condizionate.
Quando le relazioni omosessuali erano una questione privatissima della quale non erano a conoscenza nemmeno i familiari stretti dei partner, le interferenze sociali all’interno della relazione erano sostanzialmente inesistenti, ma oggi in moltissimi casi, specialmente tra le persone giovani, non è più così. Socializzare il rapporto significa accettarne il conseguente inevitabile condizionamento sociale.
Tanto premesso, chiediamoci che cosa sia questo condizionamento sociale delle relazioni omosessuali. In primo luogo il condizionamento sociale, di cui spesso neppure gli stessi partner si rendono conto, si manifesta nella tendenza da parte dei partner ad applicare alla loro relazione dei modelli di comportamento “generalmente accettati” o che appaiono o si presumono tali, in obbedienza al poco sensato criterio del “così fan tutti!” Non c’è bisogno di dire che i modelli e l’omologazione ai modelli, oggi, ricevono il massimo supporto dai social, non tanto per convinzione, ma appunto perché “così fan tutti!”. In questo modo gli stereotipi tendono ad essere una facile alternativa della spontaneità e la relazione omosessuale stessa si struttura con criteri analoghi a quelli del matrimonio. All’apparenza tutto questo è positivo ma di fatto elimina la spontaneità e l’unicità della relazione in nome di una omologazione che sembra essere la scelta migliore.
Sia ben chiaro: i pregiudizi e l’omologazione al “così fan tutti!” sono deleteri anche per le coppie eterosessuali e in particolare l’idea che il matrimonio sia l’unica forma possibile di relazione seria tra un uomo e una donna è un’idea assolutamente fuorviante, perché tante persone che non sarebbero portate spontaneamente a formalizzare il loro rapporto affettivo nel matrimonio, finiscono per sposarsi perché l’attesa sociale di una relazione etero è proiettata verso il matrimonio. In questo modo finiscono per sposarsi coppie che potrebbero mal sopportare la coabitazione o la definizione del loro rapporto in termini di diritti e doveri, e le conseguenze di queste scelte non spontanee e sostanzialmente forzate emergono inevitabilmente a distanza di anni.
Non è affatto detto che una relazione omosessuale seria debba mirare alla creazione di una coppia stabile, sostanzialmente indissolubile, convivente, fondata sull’assoluta fedeltà sessuale e affettiva. Nella pratica, oggi, ben pochi omosessuali costruiscono di fatto relazioni di questo tipo e, lo voglio sottolineare, le relazioni che non seguono quel modello possono essere stabili e serissime comunque.
Il consenso sociale si basa sulla condivisione di uno stereotipo che sul momento è dominante. La stabilità di una coppia, la sostanziale indissolubilità del rapporto, la convivenza e l’assoluta fedeltà ed esclusività sessuale ed affettiva non sono i presupposti di ogni relazione affettiva, ma sono degli stereotipi molto radicati socialmente e quindi anche molto interiorizzati dai singoli. Direi che le concrete scelte di vita di moltissimi omosessuali dimostrano che quei presunti fondamenti delle relazioni di coppia non sono più dei tabù e che il venire meno di quei teorici presupposti di una felice vita di coppia è considerato, di fatto, come una eventualità possibile e non necessariamente distruttiva del rapporto. Un classico esempio di questo fatto si ha nell’infedeltà di coppia o nella non esclusività del rapporto, che nonostante le pesantissime e teoriche sanzioni sociali, non comportano di per sé la fine della relazione. Spesso l’infedeltà, tanto più se sporadica, o la sussistenza contemporanea di altre relazioni, purché dichiarate lealmente, sono considerate non sostanzialmente lesive del patto di lealtà reciproca che è il vero presupposto della vita di coppia.
Il peso degli stereotipi si manifesta con maggiore evidenza nei momenti di crisi della vita di coppia, quando cioè uno dei partner si trova, a seguito di un comportamento imprevisto dell’altro, a dover decidere individualmente come reagire. Proprio in questi momenti si ricorre alla ricerca del consenso da parte degli amici o dei familiari. Apparentemente si chiede un consiglio, ma nella sostanza si chiede un avallo ad una decisione già autonomamente assunta, e proprio in questi momenti la ricerca del consenso si sostituisce alla spontaneità emotiva e si sceglie di fare quello che agli altri appare giusto. In questo modo si finisce per applicare regole generali che appaiono razionali e assolute ma che non hanno di fatto niente a che vedere con la vita affettiva. La norma sociale diventa così una specie di codice individuale di comportamento che si sostituisce all’unica forza che dovrebbe regolare la vita di coppia, cioè all’affettività.
Mi accade spesso di parlare con ragazzi che vedono andare in crisi la loro relazione di coppia secondo il comune modo di pensare e trascurano il fatto che quella relazione ha le sue regole, che non sono astratte e che spesso non incontrerebbero l’approvazione sociale, ma che sono le regole di quella specifica relazione dettate dall’incontro di due spontaneità. Troppo spesso si cerca di pianificare la propria risposta come se si stesse giocando una partita a scacchi con un avversario, nella convinzione che ciò che conta è vincere o comunque apparire forti, ma come è facile capire, la volontà di vincere o di apparire forti comunque non è compatibile con un rapporto autenticamente su base affettiva, nel quale ciò che conta dovrebbe essere unicamente il bene dell’altro e la visione egoistica del rapporto dovrebbe essere radicalmente esclusa. La vita affettiva non è una partita a scacchi nella quale vince chi fa la mossa giusta. Chi vuole veramente bene ad un’altra persona, ossia vuole il bene di quella persona, dovrebbe capire che gli atteggiamenti rigidi sono distruttivi e che cedere non è un atto di debolezza ma un atto d’amore. È proprio nei momenti di crisi che si tende a mettere da parte la spontaneità affettiva e ad affidarsi a norme di comportamento totalmente esteriori, derivate dall’idea che bisogna dimostrare e anzi fare pesare la propria forza per condizionare l’altro. In questo modo le relazioni affettive manifestano il loro lato peggiore nella possessività. Le espressioni “tu sei mio” o “tu sei mia”, che sono considerate la massima espressione dell’affettività, ne sono nella sostanza la negazione, quando trasformano una relazione che dovrebbe essere una relazione d’amore in una forma di possesso che mira a limitare e a condizionale la libertà dell’altro.

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