GAY E DISAGIO SESSUALE

Approccio dei ragazzi gay verso la sessualità
Rispondi
Avatar utente
progettogayforum
Amministratore
Messaggi: 5983
Iscritto il: sabato 9 maggio 2009, 22:05

GAY E DISAGIO SESSUALE

Messaggio da progettogayforum » sabato 21 ottobre 2023, 15:59

Questo post, sulla base dell’esperienza maturata in Progetto Gay, analizzerà le situazioni di disagio legate alla sessualità tipiche dei gay. È opportuno organizzare il discorso seguendo le scansioni temporali della vita e le diverse possibili condizioni di vita.

Disagi dell’adolescenza gay, dai 12-13 anni fino ai 17-18.
Disagi della giovinezza gay, dai 18-19 anni fino ai 35-40 circa.
Disagi dell’età matura gay, dai 35-40 anni, fino ai 60-65 circa.
Disagi della vecchiaia gay, dai 60-65 anni circa in poi.

Va da sé che i limiti temporali riportati sono meramente indicativi e che i confini tra le classi di età sono molto elastici. Mi propongo qui di parlare solo di disagio, è opportuno quindi chiarire che cosa si debba intendere per disagio.

DISAGIO

Il Vocabolario Treccani così definisce il disagio: “Senso di pena e di molestia provato per l’incapacità di adattarsi a un ambiente, a una situazione, anche per motivi morali.” Il termine disagio comporta quindi una situazione di disadattamento, un “sentirsi fuori”, “sentirsi altro”, un incontrare “difficoltà o impossibilità di integrazione nel gruppo”.

Il centro del disagio è la difficoltà o l’impossibilità di omologazione, ossia di adeguamento convinto e non meramente formale a regole, consuetudini o comportamenti sociali comunemente accettati. È evidente che il disagio inteso in questo modo può derivare o da fattori individuali (condizioni di vita, personalità, carattere, fattori familiari, educativi, di gruppo ristretto e, purtroppo, anche fattori oggettivamente patologici, che quando sono presenti richiedono l’intervento di specialisti) o da fattori sociali (pensiero unico, visioni dogmatiche, assenza di pensiero critico, tendenza alla omologazione stretta e anche obbligata, educazione repressiva), o da un mix di fattori individuali e di fattori sociali. Va sottolineato che nel seguito di questo articolo mi fermerò sulle forme di disagio non collegate a patologie ma originate esclusivamente da un’applicazione più o meno distorta e forzata di schemi tradizionali di interazione sociale.

Omologazione significa formale inserimento in un gruppo a seguito del riconoscimento del possesso di tutti i requisiti richiesti per far parte di quel gruppo. Gli omologhi si sentono parte del gruppo, vedono le loro opinioni condivise e rafforzate dal gruppo, si sentono cioè almeno per certi aspetti “uguali” agli altri membri del gruppo e tendono a percepire e a qualificare i non omologhi come “diversi”, estranei al gruppo e non integrabili.
Più è denso, analitico e prescrittivo l’elenco delle caratteristiche richieste per essere omologati nel gruppo, più il gruppo è chiuso ed “esclusivo”, cioè tendente a tenere rigidamente fuori chi non è omologato, ad escludere quindi qualunque forma di integrazione del “diverso”.

Non c’è bisogno di dire che tra gli elementi più comuni e più importanti ai fini dell’omologazione in un gruppo si trovano l’orientamento sessuale e i comportamenti sessuali, questi elementi sono condizionanti anche nei gruppi nei quali, formalmente, non si fa ad essi alcun riferimento o li si esclude esplicitamente, si potrebbe dire che operano in underground e in modo inconscio.

Già da questo concetto di disagio sociale è facile capire l’origine del disagio dei gay, ai quali è attribuita per antonomasia la categoria di “diversi”, da qui l’invisibilità sociale che ha caratterizzato storicamente i gay per secoli, proprio come gruppo perseguitato, invisibilità che, sebbene attenuata nei recenti decenni, sussiste ancora e pesantemente a livello locale e familiare.

EDUCAZIONE E DISAGIO

L’attenzione alla fase educativa delle nuove generazioni può presentare e ha storicamente presentato atteggiamenti diversi, per non dire opposti, in società caratterizzate da regimi politici diversi.

Nelle società caratterizzate da regimi dittatoriali l’educazione è stata finalizzata alla omologazione educativa, cioè gradualmente indotta tramite una educazione dogmatica in cui l’appartenenza al gruppo è tutto e a quella appartenenza deve essere sacrificata anche la libertà di pensiero e la stessa libertà individuale. L’individuo esiste in funzione del gruppo e non il gruppo in funzione dell’individuo. Tutte le fasi dell’educazione sono socializzate, l’individualismo è represso, l’obbedienza cieca e assoluta è considerata la massima virtù. L’educazione nella Germania nazista era organizzata su questa base.

Nelle società caratterizzate da regimi democratici pluralisti, ossia nelle società che non promuovevano il pensiero unico, ma il dialogo e il confronto tra opinioni diverse, l’educazione ha goduto di livelli di libertà nettamente maggiori e la stessa dialettica parlamentare è stata un esempio di organizzazione di gruppo ampiamente utilizzato a livello locale. L’educazione non repressiva, non tende alla omologazione forzata, non valorizza l’obbedienza ma l’autonomia del pensiero e il rispetto del pluralismo, tende cioè ad integrare il “diverso” richiedendo per l’inserimento nel gruppo criteri di omologazione minimi come l’adesione a principi costituzionali ampiamente condivisibili, escludendo completamente le caratteristiche non sociali ma individuali come l’orientamento sessuale. In molti paesi del Nord Europa questo modello educativo è applicato da decenni ed ha limitato significativamente le situazioni di disagio.

DISAGIO E TABU’ EDUCATIVI

Quando si parla di educazione si tende a sovrapporre due concetti distinti, quello di educazione propriamente detta e quello di istruzione. I due termini riguardano ambiti decisamente diversi. Educare significa favorire lo sviluppo naturale delle tendenze di un individuo. Istruire vuol dire in primo luogo fornire nozioni e integrare capacità tecniche. La differenza dei due ambiti si manifesta per esempio nel fatto che si parla di “istruzione tecnica” (saper fare qualcosa di specifico, a livello professionale) ma si parla di “educazione sessuale” (cioè di accompagnamento dello sviluppo psico-sessuale di un individuo perché abbia maggiore coscienza di sé e degli altri nell’ambito dei contatti sessuali). Purtroppo spesso l’educazione sessuale si trasforma in istruzione sessuale cioè nella mera trasmissione di un sapere minimo in materia di precauzioni anticoncezionali e di prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, al fine di gestire tecnicamente i contatti sessuali in modo non rischioso. Si tratta certamente di una cosa importante e necessaria ma mille miglia distante da una educazione sessuale capace di mettere in crisi meccanismi perversi come quelli che portano al femminicidio.

L’educazione, a livello istituzionale, tende sempre più a trasformarsi in istruzione per la preparazione di tecnici formati in funzione del loro inserimento nel mondo del lavoro, e in questo modo la dimensione individuale resta fortemente marginalizzata e il bisogno di educazione è misconosciuto. È come se in realtà esistessero dei tabù educativi, dei quali l’educazione istituzionale deve guardarsi bene dall’occuparsi e l’educazione sessuale è il più classico dei tabù educativi. L’educazione sessuale, trascurata a livello istituzionale viene di fatto delegata ad altre agenzie educative, che tali non appaiono ma che svolgono nel bene e nel male una funzione determinante nel processo educativo delle nuove generazioni, parlo in particolare delle chiese e delle comunità religiose da un lato e della pornografia dall’altro. L’abbandono pressoché senza eccezioni dell’educazione sessuale a queste agenzie è una delega in bianco rilasciata a realtà sospette per “conflitto di interessi”. L’educazione sessuale non dovrebbe essere delegata né alle chiese né alla pornografia perché le chiese (tutte le chiese, anche se in vario grado) hanno visioni dogmatiche della sessualità e perché la pornografia ha finalità esclusivamente commerciali (con giri di affari enormi). Manca in queste realtà, per la loro stessa costituzione, una visione laica e pluralista capace di diminuire il disagio e di aumentare il livello di integrazione anche dei cosiddetti “diversi”.

Tenendo presenti queste premesse possiamo passare ad un tema specifico.

DISAGI DELL’ADOLESCENZA GAY

Un ragazzo che affronta l’adolescenza prende progressivamente coscienza del suo cambiamento fisico e dello sviluppo progressivo della sua sessualità, cosa della quale, tra l’altro, non può parlare seriamente con nessuno, né in famiglia né fuori (tabù educativo) e nello stesso tempo è sottoposto a pressioni educative soprattutto dalla famiglia o dalla chiesa (molto meno dalla scuola) che riversano su di lui attese di vario genere e tendono a proporre e a valorizzare modelli di comportamento socialmente accettati, almeno in teoria, ma fortemente orientati all’omologazione. Se un ragazzo eterosessuale viene spinto dai discorsi della famiglia a cercarsi una ragazza per sentirsi grande e in questo (in modo più o meno immaturo) può trovare una reale gratificazione, un ragazzo che si sente attratto dai ragazzi e non dalla ragazze, in una situazione simile, non potrà che provare profondo disagio e questo comporterà un accesso molto anticipato alla pornografia col rischio di considerarla un vero modello di comportamento sessuale.

Ma se il disagio esiste ed è già consistente per un ragazzo gay interessato ai coetanei, il disagio sarà molto più forte per i ragazzi interessati a uomini adulti o a particolari pratiche sessuali, poco gettonate e ritenute (spesso del tutto pregiudizialmente) significativamente patologiche. Questi ragazzi rischiano concretamente di non trovare accettazione o comprensione nemmeno negli ambienti gay dove, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, certe forme di pregiudizio sono comunque presenti. Per quanto possa sembrare paradossale anche gli ambienti gay possono non essere inclusivi.

Il disagio è ancora più forte da parte delle persone trans per le quali il processo di integrazione è ancora agli inizi e incontra difficoltà tuttora enormi. Per ragazzi con esperienze di questo tipo l’adolescenza è un’età difficilissima, perché la loro realtà, di fatto, deve svilupparsi senza alcun supporto esterno e anzi in contrasto palese con ambienti familiari o sociali che tendono a richiedere se non a pretendere omologazioni forzate.

Esistono sia delle forme di disagio tipiche dell’adolescenza gay che delle complicazioni delle forme di disagio comuni anche ai ragazzi etero, legate specificamente alla sessualità gay.

Un ragazzo gay, se avverte che la sua famiglia ha atteggiamenti omofobi e vuole evitare incomprensioni o scontri dirompenti, deve evitare di parlare di omosessualità, non deve avere libri o giornali che parlino di omosessualità, deve comportarsi esternamente da etero, o quantomeno deve evitare di manifestare atteggiamenti che possano essere letti come segni di omosessualità, per esempio avere un amico speciale, frequentare poco le compagnie femminili, manifestare segni di nervosismo o di ribellione davanti ad atteggiamenti omofobi di un familiare, ecc. ecc..

Il problema della masturbazione e dei tentativi di reprimerla per rispettare precetti religiosi più o meno condivisi è comune anche ai ragazzi etero, in particolare credenti o presunti tali. Anche per i ragazzi etero è imbarazzante confessare al prete di essersi masturbati, ma per loro il problema finisce lì. Quando un ragazzo gay capisce che il problema per lui non si riduce a confessare di essersi masturbato ma che dovrebbe dire al prete che lo ha fatto pensando ad un uomo, la situazione di disagio si fa più profonda e la circostanza che si tratti di masturbazione con fantasie gay viene di fatto spesso omessa, cosa che causa altri scrupoli di natura religiosa.

Molti comportamenti che in ambito etero non sono assolutamente ansiogeni e non provocano situazioni di disagio, come il frequentare palestre e piscine e il fare la doccia insieme con altri ragazzi, possono invece provocare ansia e disagio nei ragazzi gay, perché per loro quelle cose hanno dei chiari risvolti sessuali.

Un’altra tipica forma di disagio per i ragazzi gay in età adolescenziale consiste nel trovare un rapporto possibile col mondo femminile, perché quei ragazzi si accorgono di essere oggetto di attenzioni a sfondo sessuale da parte di ragazze e se per un verso sono tentati di creare un rapporto con una ragazza, cosa che favorirebbe l’integrazione nel gruppo dei pari, per l’altro sono consapevoli che questo non è quello che stanno cercando e che prima o poi con una ragazza si arriverà anche al contatto sessuale, che potrebbe anche funzionare ma che, in questo caso, creerebbe comunque vincoli ancora più forti dai quali sarebbe poi traumatico se non impossibile liberarsi.

DISAGI DELLA GIOVINEZZA GAY

Un uomo gay giovane, dopo l’uscita dall’adolescenza, cioè da uno stato di sostanziale dipendenza e di controllo da parte dell’ambiente familiare, tende a costruirsi un proprio mondo affettivo e sessuale, fa le sue esperienze e, inevitabilmente, si rende conto che il passaggio dal mondo della fantasia a quello della realtà, per quanto naturale e profondamente desiderato, può essere traumatico perché le storie d’amore o le storie che assomigliano a storie d’amore non hanno niente a che vedere con le favole e i ragazzi veri, quelli con i quali si deve costruire una relazione, non sono affatto una copia di noi stessi ma hanno una loro storia, spesso molto più articolata e problematica di quanto appare all’esterno, si portano appresso condizionamenti e complessi legati alla loro storia sessuale, che possono non emergere o non presentarsi nei loro aspetti problematici per tempi anche molto lunghi. I giovani gay devono anche rendersi conto del fatto che ciascuno ha i suoi archetipi sessuali e ha il suo personale repertorio di fantasie e di comportamenti sessuali e che quindi l’interazione sessuale “vera” con un ragazzo, cioè il sesso vissuto con uno scambio affettivo profondo e con almeno la prospettiva di durare, non è affatto una cosa facile da gestire. Va aggiunto che molti ragazzi gay hanno una visione della coppia gay costruita sul modello matrimoniale mentre altri non concepiscono vincoli di nessun genere e hanno una sessualità non monogamica che non è però assolutamente una forma di tradimento perché è condivisa dai partner.

Queste tematiche, che ho riassunto in poche righe, occupano in realtà la gran parte della vita dei giovani gay. L’esperienza matura lentamente, aiuta a superare i pregiudizi e procede inevitabilmente per tentativi ed errori. Va sottolineato che quelli sopra indicati sono i problemi tipici di un giovane gay standard, perché la presenza di problematiche meno comuni o strutturate nel tempo può rendere particolarmente complicata anche la giovinezza di un ragazzo gay. Non va dimenticato che le dipendenze sessuali si instaurano in questo periodo della vita e che qualche lettura di testi di psicologia di tipo universitario (cioè oggettivamente scientifici) può aiutare i giovani gay ad inquadrare la loro vita e a rendersi conto razionalmente delle loro reazioni e dei meccanismi di interazione all’interno delle relazioni affettive.

A proposito dei giovani gay, emerge un’osservazione fondamentale: la fase forse più importante dello sviluppo della personalità adulta, quella legata alla conquista dell’indipendenza mentale, affettiva e prima di tutto economica, si realizza con l’inserimento nel mondo del lavoro. L’adulto gay giovane che lavora e ha una stabilità economica ha anche un’autonomia sostanziale. Per quanto possa sembrare paradossale il trauma più forte, in questa età della vita, se si escludono le malattie gravi e i lutti, non è costituito dalla rottura di un rapporto affettivo ma dal dramma della disoccupazione che fa retrocedere il giovane gay a livello adolescenziale, cioè lo riporta in uno stato di dipendenza non solo economica ma anche affettiva e di privazione sostanziale della libertà in conseguenza del ritorno nella casa dei genitori.

Se lo studio e il rapido inserimento in una situazione di lavoro stabile è importante per un ragazzo etero, lo è ancora di più per un giovane gay, per il quale la libertà e l’indipendenza dalla famiglia sono condizioni indispensabili per realizzare la propria vita affettiva e sessuale, oltre che per ottenere gratificazioni dal mondo del lavoro.

Ovviamente l’inserimento nel mondo del lavoro non è né scontato né senza traumi. La capacità di gestire i rapporti con i colleghi e con i superiori matura con l’esperienza e all’inizio, l’assenza di esperienza concreta può indurre in errori che poi si pagano, mi riferisco in particolare al fatto che l’ambiente di lavoro è solo un ambiente di lavoro che deve essere gestito come un ambiente di lavoro e che i colleghi e peggio ancora i superiori non sono amici ai quali si può parlare liberamente di se stessi perché con i superiori c’è un rapporto gerarchico (cioè si viene valutati dai superiori, e si viene valutati con le loro categorie) e con i colleghi c’è un rapporto concorrenziale e quindi un conflitto di interessi che rende impossibile un vero rapporto di amicizia. Spesso si impara traumaticamente che bisogna tenere separati il mondo del lavoro e quello della vita privata, perché una confidenza fatta ad un collega ritenuto erroneamente un amico, può rimanere un fatto assolutamente riservato per anni “se non c’è un’utilità concreta nel rivelarla” ma se una tale utilità si manifesterà. Il presunto amico, potrà mettere da parte gli scrupoli di riservatezza e utilizzare a suo vantaggio quello che sa, coprendosi ovviamente nell’anonimato del “si dice che”.

DISAGI DELL’ETA’ MATURA GAY

L’età matura dai 35/40 fino ai 60/65 anni è in genere caratterizzata da stabilità lavorativa ed economica, quando questo non accade i problemi diventano particolarmente seri perché la vita quotidiana viene a dipendere da meccanismi aleatori che non fanno che incrementare l’ansia e l’insicurezza e fanno crollare i livelli di autostima. Il recupero di queste situazioni non è semplice perché la prima necessità alla quale bisogna far fronte è quella di ottenere un lavoro stabile, che possa non compromettere le prospettive pensionistiche a lunga scadenza e quindi una vecchiaia almeno minimamente tranquilla.

Per limitarci alle situazioni nelle quali in età matura si è raggiunta una certa stabilità lavorativa ed economica, possiamo dire che ormai l’adulto gay e diventato una vecchia volpe, e ha accumulato un’esperienza tale da consentirgli una gestione tranquilla dell’ambiente di lavoro. La vita affettiva ormai è su un binario ben definito dal quale sarebbe in ogni caso difficile allontanarsi, in altri termini è finita l’età delle scelte e bisogna gestire le scelte fatte.

Ci sono gay che si sono sposati e hanno avuto figli e per loro tutto dipende dal livello di consapevolezza della moglie e dai livelli di libertà che la vita familiare consente, anche se conciliare la vita da uomo sposato con figli con scelte affettive e sessuali diverse non è per niente facile, ma se la famiglia c’è e i figli ci sono, tutto questo non può essere messo da parte e deve convivere, nei limiti del possibile, con le tendenze gay.

Ci sono gay che hanno costruito coppie gay stabili e per loro i problemi sono analoghi a quelli delle coppie etero senza figli, la convivenza è stabile, ma le tentazioni possono essere tante, la fedeltà in linea di principio è condivisibile ma è difficile farla convivere con una relazione stanca e ormai logora oppure con una forte tentazione esterna, se la relazione di coppia non è logorata dagli anni.

Purtroppo, in questo periodo della vita, per non parlare delle malattie più gravi e invalidanti, cominciano ad emergere i primi malanni tipici dell’età e la prevenzione diventa un capitolo obbligatorio della vita del gay adulto, a meno che non si voglia fare la politica dello struzzo. Gli appuntamenti coi medici, rari a 40 anni, diventano più frequenti via via che si procede con l’età. In una coppia, quando uno dei due ha esigenze mediche più frequenti può accadere che l’altro partner manifesti segni di impazienza, come se la malattia fosse una scelta o una colpa, perché passare dal ruolo di partner al ruolo di badante rappresenta un cambiamento radicale di prospettiva al quale non tutti sono disposti. L’abbandono del partner in una situazione del genere è visto come la peggiore forma di tradimento.

Tra coppie gay adulte si creano spesso rapporti di amicizia stabile anche se con frequentazioni piuttosto distanziate. È un fenomeno che ho riscontrato molte volte: costituite le coppie o messa da parte l’idea della coppia, si riscoprono le amicizie, il piacere semplice di star insieme di sentirsi appartenenti alla stessa tribù, di parlare liberamente anche di cose gay come si può fare solo tra gay. Queste amicizie spesso sono un’alternativa niente affatto banale alle relazioni di coppia, qualcuno direbbe che sono un surrogato perché possono assumere anche connotazioni sessuali, soprattutto quando si tratta di amicizie all’interno di gruppi di single, o di quasi-single, cioè di uomini che hanno anche una vita sessuale, per quanto episodica e con diversi partner, in genere due o tre e sempre gli stessi.

DISAGI DELLA VECCHIAIA GAY

Oltre i 60-65 anni bisogna prendere atto che la vita è per la gran parte andata, se non ci sono particolari problemi economici, il pensiero dei gay anziani si concentra progressivamente sulle malattie ma non per le malattie in sé, che a una certa età sono di fatto ineliminabili e costituiscono ormai una costante della vita, nonostante le buone pratiche della prevenzione e il tentativo di vivere una vita sana, ma perché le malattie invalidanti comportano la necessità di essere assistiti in quanto si può non essere più in grado di compiere senza aiuto neppure gli atti indispensabili per la vita quotidiana, come fare una doccia o mangiare o andare in bagno autonomamente.

A questo punto il vecchio gay senza figli si sente in una condizione deteriore rispetto al vecchio che ha figli e nipoti e pensa che per un gay, la libertà dai legami familiari, che è stato un pilastro della vita adulta, porterà alla solitudine sostanziale nell’ultima fase della vita. O si finirà affidati molto precariamente a nipoti che vogliono in ogni caso salvaguardare la loro libertà, o si finirà, se ci sono i quattrini per realizzare una simile ipotesi, ad essere gestiti da un o da una badante, o nel peggiore dei casi si finirà in qualche istituto di assistenza per vecchi. Un gay, in genere, non ha come prospettiva di restare in famiglia fino alla più tarda età e si augura che la morte arrivi quando ancora si è in condizioni di relativa indipendenza, in modo da non dare fastidio a nessuno. Naturalmente questo ragionamento vale per i vecchi gay che non hanno costruito una coppia stabile. Per quelli che invece hanno costruito una coppia stabile la prospettiva di un aiuto reciproco è meno traumatica, ma in questo caso c’è, purtroppo, da fare i conti col trauma della vedovanza, che prima o poi porterà via uno dei partner e lascerà l’altro in una situazione di abbandono analoga a quella dei gay che non hanno costruito una coppia, ma aggravata dal fatto che chi ha vissuto in coppia accetta difficilmente la solitudine. Anche per le coppie gay, come per quelle etero di lunga data, la vedovanza è il trauma peggiore.

Da quanto ho sperimentato personalmente posso dire che un elemento fortemente stabilizzante nella vita di un gay anziano sta nell’avere rapporti di amicizia con gay di tutte le età, è come se una cosa simile potesse frenare la corsa verso la morte mantenendo una persona legata un po’ a tutte le fasi della vita gay. Spero che questa rete di sicurezza possa durare ancora diversi anni, al momento posso dire che è importantissima.

Rispondi